La collina del vento

Calabria rurale e misteri di una città magno-greca in uno dei più elaborati romanzi di Carmine Abate

Tra le aree più ventose d’Italia, e quindi interessate da installazioni eoliche, è certamente la Calabria, non a caso definita da qualcuno la regione più “impalata” d’Europa. Non stupisce quindi il titolo di un fortunato romanzo di Carmine Abate, lo scrittore calabrese di etnia arbëreshë (gli albanesi d’Italia), ora riproposto da Mondadori nella collana Oscar: La collina del vento.

Carfizzi

La collina è quella del Rossarco, così chiamata dal rosso fiore di sulla che prospera sulle sue pendici argillose, non lontano dal paese d’origine di Abate: Carfizzi, a pochi chilometri dal mar Jonio. «Questa collina mi ha sempre affascinato per i suoi profumi e i suoi colori e perché avvolta da un alone magico. Per anni non sono riuscito a scrivere questa storia: mi mancava l’urgenza. Necessità che alla fine è scaturita dalla promessa che ho fatto a me stesso di fronte a mio padre vicino ad andarsene. Mi sono ripromesso che avrei scritto tutte le storie che mio padre mi raccontava, prima che morissero con lui».

Da sempre il vento, questo efficace simbolo delle passioni e vicende umane, scompiglia gli olivi e gli arbusti che rivestono il Rossarco. Ed è il vento, ora lieve come una carezza, ora devastante nella sua furia selvaggia, ad accompagnare il dipanarsi della saga degli Arcuri, famiglia contadina che con fede ostinata nel futuro affronta ogni avversità proprio come gli alberi della collina, che piegati magari fino a terra sanno però resistere alle folate rabbiose ed ogni volta rialzarsi; saga intrecciata con la grande storia d’Italia dal primo conflitto mondiale agli anni cupi del fascismo, dalla liberazione alla rinascita di un’intera nazione nel sogno di un benessere illusorio.

Romanzo corale anche in quanto deve la sua realizzazione all’apporto di più persone, come altri libri di Abate La collina del vento utilizza inserti dialettali di arbëreshë, la lingua delle comunità albanesi stanziatesi in Calabria nel XV secolo per scampare alla dominazione ottomana.

Se per la ricostruzione del mondo rurale dal primo al secondo dopoguerra lo scrittore si è avvalso degli appassionati racconti del padre negli ultimi anni della sua vita, ha svolto ricerche approfondite per dar vita ai due personaggi storici presenti nel romanzo: l’archeologo trentino Paolo Orsi e il filantropo ed educatore Umberto Zanotti Bianco, diventato archeologo negli anni di confino nella piana di Paestum, che dopo la prima giovinezza trascorsa in Piemonte, regione d’origine del padre, dedicò tante energie alla rinascita dei paesi calabresi sottosviluppati.

Ma cosa c’entrano Orsi e Zanotti-Bianco con gli Arcuri e la loro amata collina, produttrice del migliore vino e olio della regione? C’entrano a proposito dell’antica città di Krimisa, famosa per un tempio dedicato ad Apollo Aleo i cui resti sono riemersi a pochi metri dal mare, sul promontorio di Punta Alice. A fondarla verso il VII secolo furono coloni greci sbarcati sulla costa jonica tra Sibari e Crotone, anche se racconti mitici la vogliono fondata dall’eroe greco Filottete reduce dalla guerra di Troia, che in quel santuario avrebbe deposto l’arco e le frecce ricevuti in dono da Eracle.

Nel romanzo un ruolo importante l’ha appunto Krimisa, che rappresenta uno dei segreti custoditi nelle viscere del Rossarco. Oggi gli archeologi tendono a identificare con l’odierna Cirò l’antica colonia magno-greca, o almeno il suo nucleo originario, giacché in epoca ellenistica e romana la città si estese nelle adiacenze con nuovi quartieri, necropoli e insediamenti sparsi.

Chi o cosa distrusse Krimisa? Annibale per punirla, durante la seconda guerra punica, di essere rimasta legata all’alleanza con Roma, o uno dei tanti terremoti che di tempo in tempo sconquassano la terra calabra? Per Abate «una città è come una persona, nasce cresce muore, a volte sparisce lasciando labili tracce che solo un occhio attento può scoprire. Una città ha un’anima. Quella non scompare mai. È dentro ogni spicchio di terra, è tra l’erba, nell’aria. Ha voce di vento…».  Un’anima che lo scrittore sente aleggiare sul Rossarco, dove colloca i primi scavi di Orsi alla ricerca della città perduta.

Carmine Abate
Carmine Abate

Pagine tra le più belle del libro sono quelle in cui Abate – narrando l’amicizia cresciuta tra gli Arcuri e l’archeologo trentino, prima, e poi Zanotti-Bianco – mette a confronto due mondi tanto diversi che sanno però comprendersi e apprezzarsi: il mondo contadino e una cultura che vuol essere solo servizio e promozione. Prospettando con ciò la vitalità di un incontro fra l’”evoluto” nord, rappresentato dai due archeologi, e il sud Italia ricco di valori.

Nell’incalzante finale a sorpresa Abate, legatissimo alla sua terra ma anche innamorato di ogni luogo da lui toccato (la Germania dove emigrò giovane, il Trentino sua residenza attuale con la famiglia), fa dire all’ultimo rampollo Arcuri: «La verità è che i luoghi esigono fedeltà assoluta come degli amanti gelosi: se li abbandoni, prima o poi si fanno vivi per ricattarti con la storia segreta che ti lega a loro; se li tradisci, la liberano nel vento, sicuri che ti raggiungerà ovunque, anche in capo al mondo».

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