La bella giornata di Zalone

Il film del comico barese è il più visto nella storia del cinema italiano. Cosa c'è alla base del suo successo?
checco zalone

Che un film come Che bella giornata abbia battuto in questi giorni ai botteghini il record assoluto per incassi, detenuto da anni da Roberto Benigni con La vita è bella, è una notizia accolta da molti con sorpresa. Un amico mi aveva preannunciato che Zalone, con il suo film, avrebbe creato un certo scalpore. Ci aveva azzeccato. E così anch’io ho visto il film.

 

Premetto che, avendo vissuto per quasi trent’anni all’estero, non conoscevo Zalone e, sinceramente, non lo paragonerei a Benigni. Lui stesso mi pare onesto nell’ammetterlo. «Chiedo scusa al maestro Benigni». ha affermato. E anche in quanto alla pellicola non è stato meno sincero: «Non è dai soldi che si misura il vero valore di un film… Quando (…) mi daranno tre Oscar allora si potrà dire che l’ho superato». Lo stesso produttore Valsecchi ha dichiarato a Repubblica: «Benigni resta Benigni. È un’altra cosa».

 

Al di là dell’incasso, la pellicola mi ha fatto riflettere, e non poco. Il film, infatti, non mi pare abbia un gran valore artistico, al contrario di quello del regista e comico toscano, ma interpreta assai bene i sentimenti degli italiani e mette a nudo un problema chiave della nostra società: l’incapacità di riuscire ad integrare la cultura tradizionale italiana con quella degli immigrati.

 

Il film potrebbe parere irriverente nei confronti dei monaci tibetani o di alcune espressioni dell’Islam, ma non lo è. È, piuttosto, micidiale nel bollare l’ignoranza italo-centrica di chi è nato e vive nella nostra penisola. Mette a nudo, senza pietà, tanti stereotipi che circolano senza che ci sia una minima reazione da parte nostra, come se, per certi versi, fossimo completamente narcotizzati.

 

È sintomatico il commento della giovane maghrebina che ha salvato Checco e la Madonnina del Duomo di Milano, quando dice che l’Italia l’affosseranno gli italiani come Checco. Forse quella considerazione finale dovrebbe farci riflettere. Non so quanto di noi si sentono davvero come il protagonista di questa pellicola. Forse ci farebbe bene renderci conto di come ci vedono gli altri. Ed è proprio questo, secondo me, il messaggio importante di questo film.

 

D’altra parte, c’è anche un altro aspetto che dovrebbe farci riflettere: l’incontro con lo straniero, con il diverso, finisce sempre per arricchire e aiuta a scoprire qualcosa che da soli non riusciremmo a vedere. Checco, con la potenziale terrorista, scopre cosa possa voler dire amare davvero, al di là degli stereotipi che, soprattutto in occidente, hanno ormai svuotato i sentimenti più belli lasciando un vuoto terribile. D’altra parte, Farah trova qualcosa che il destino le aveva portato via: la famiglia. Dall’incontro e da questo arricchimento reciproco nasce qualcosa di inatteso: si salvano vite umane, si risparmia la rovina di un simbolo culturale e religioso. Insomma, ne viene fuori qualcosa di positivo.

 

Un’ultima considerazione. Che il rapporto con l’altro sia centrale lo dimostra il fatto che entrambe le pellicole in questione – La vita è bella  e Che bella giornata – toccano proprio questo aspetto in relazione al mondo dell’ebraismo, il primo, e dell’islam, il secondo. Se il cinema è, come di fatto lo è sempre stato e continua ad esserlo, una cartina di tornasole della società e della cultura che lo esprime, non dovrebbe lasciarci indifferenti il fatto che milioni di italiani siano andati al cinema a vedere questo film. In fin dei conti, quando si trova un rapporto vero con chi sembra non avere nulla in comune con noi, allora davvero la vita è bella e, spesso, ci viene spontaneo commentare: che bella giornata!

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