Istruzione, c’è ancora una speranza?

Continua il dibattito sulla scuola pubblica. Emergenze e punti di forza di un’istituzione in difficoltà, per la quale si annunciano nuovi tagli. Intervista a Patrizia Mazzola, insegnante palermitana, impegnata da tanti anni sul fronte della dispersione scolastica
Assemblea studenti

La scuola italiana non si tocca. Nonostante le critiche e i nuovi tagli annunciati dal ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini: quasi 20 mila cattedre in meno per l’anno scolastico 2011-2012, senza contare i tanti docenti che non saranno sostituiti quando andranno in pensione. Per sottolineare l’importanza della scuola pubblica, sabato 12 marzo saranno in migliaia, tra professori e studenti, a scendere in piazza a tutela di un’istituzione che sentono sempre più minacciata.

 

L’importanza della scuola statale viene ribadita, con forza, anche dagli appartenenti al Movimento studenti dell’Azione cattolica rappresentati dalla segretaria nazionale Saretta Marotta. Dopo le parole critiche nei confronti degli insegnanti della scuola statale pronunciate, e poi ritrattate, dal presidente del Consiglio Berlusconi al congresso dei Cristiano-riformisti, studenti, insegnanti e dirigenti continuano a far sentire la propria voce e le proprie istanze. Quelle del premier, spiega Marotta, «sono parole gravi, soprattutto perché sminuiscono una delle istituzioni fondamentali di questa Repubblica e spiace che siano state pronunciate proprio da una delle maggiori cariche dello Stato».

 

Grave è anche «svalutare il lavoro dei prof e il percorso di studi degli studenti». Tuttavia, conclude il segretario del Movimento studenti dell’Ac, «per questo Paese centocinquantenario c’è ancora speranza se alla fine della giostra studenti e professori, uniti, insieme come solo sanno fare per le cose che contano, a dispetto di tutti i cliché che li vedono in eterno antagonismo, ricorderanno, ancora una volta e sempre con la stessa passione, che la scuola, la scuola di tutti, serve».
 

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Patrizia Mazzola, insegnante di Palermo. «Questo – afferma – è un momento di grande sofferenza. L’emergenza educativa di cui si parla tanto esiste e nella scuola non c’è nessuno strumento per fronteggiarla. Di sicuro, però, non dovrebbe essere svalutata come sta accadendo».

 

Prof. Mazzola, il premier Berlusconi ha criticato l’influenza che possono avere culture politiche sugli studenti. Effettivamente ogni insegnante ha (o non ha) una propria ideologia che, in qualche modo, nel corso delle lezioni, viene trasmessa agli studenti…

«La ricchezza della scuola è proprio questa disomogeneità culturale, che permette ai docenti e agli studenti di confrontarsi con visioni diverse delle cose. Nella scuola statale incontri ragazzi di altre culture, ricchi, poveri. Immersi nell’umanità troviamo la vera libertà. Nella mia scuola, ad esempio, ci sono insegnanti cattolici, come me, ma anche atei. Come tanti altri colleghi, io ho insegnato in tutti i tipi di scuole, imparando a conoscere le difficoltà che si vivono lavorando nelle scuole private e in quelle pubbliche. L’intervento di Berlusconi, molto applaudito dalla platea, è stato di tipo politico, per attirare consensi. Purtroppo, la scuola di Stato è stata trasformata in una scuola di secondo ordine, anche nelle menti degli italiani. Ormai non ci sono più fondi: né per fare fotocopie né per i progetti e nemmeno per la manutenzione. Fa male, come insegnante, sentir parlare male della scuola del proprio Paese dal Primo ministro».

 

Qual è la reazione del mondo scolastico?

«Presidi, docenti, sindacati, di tutti i colori politici, che lavorano in questo Paese con uno stipendio di fame, sono uniti per difendere la scuola. Lo stesso cardinale Bagnasco ha sentito di intervenire a difesa della scuola statale, dove lavorando trasmettiamo tanti valori e, nonostante le difficoltà, portiamo avanti tanti progetti. È una palestra dove si cresce insieme. La scuola aiuta la formazione dello spirito critico e l’acquisizione di una coscienza personale. Ci sono tante persone che lavorano ben oltre il proprio orario e che pagano di tasca propria per acquistare fogli, fare fotocopie. Ci sono ragazzi che non hanno i soldi per comprare i libri e non ci sono mezzi per aiutare gli studenti a sentire la scuola un luogo nel quale poter stare, dove socializzare. I ragazzi sono stufi perché gli insegnanti sono demotivati, ma questo accade quando si verificano cose del genere. Il primo ministro dovrebbe essere garante delle istituzioni come la scuola, invece quando si comporta così è come un padre di famiglia che parla male dei propri figli. Va bene anche la valutazione dei docenti, ma non deve essere questa la priorità. Si deve favorire la partecipazione delle famiglie alla vita scolastica, arginare le emergenze esistenti, eliminare la dispersione scolastica, incentivare gli insegnanti…».

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