La situazione che i media europei ci comunicano di Gaza e della Cisgiordania è tenacemente sempre la stessa, anche se dalla proclamazione del piano di pace, il 10 ottobre, a Gaza la distribuzione di qualche aiuto umanitario sembra migliorata di qualche “millimetro” rispetto a quando una prospettiva di pace non c’era. I civili palestinesi uccisi da bombe, freddo e fame sarebbero stati “solo” poco più di 400 da quando è iniziata la tregua, che peraltro non fa passi avanti. La colpa sarebbe di Hamas che non ha mai avuto, a quanto pare, intenzione di arrendersi. E che non sembra nutrire alcuna intenzione di consegnare le armi, anzi starebbe addestrando nuove reclute. Il premier israeliano Netanyahu è tornato ad incontrare il presidente Trump in questi ultimi giorni dell’anno.
La Cisgiordania, in compenso, appare ormai avviata senza alternative all’annessione di fatto: il 21 dicembre il Gabinetto di guerra israeliano ha approvato la costituzione di 11 nuovi insediamenti di coloni e 8 avamposti, che portano così intorno a 250 le località palestinesi occupate nella West Bank. Peace Now (storico movimento pacifista non governativo israeliano) segnala più di 142 nuovi avamposti costruiti dai coloni negli ultimi due anni, con l’approvazione o il silenzio-assenso del governo israeliano. Sarebbero circa 800 mila (in aumento) i coloni israeliani in Cisgiordania, a fronte di quasi 3 milioni di palestinesi che tentano caparbiamente di non andarsene. Gli attacchi quotidiani, violenti e impuniti, da parte dei coloni sono in crescita continua. Il governo israeliano da maggio trattiene anche le tasse – circa mezzo miliardo di euro – sui prodotti o sul lavoro dei palestinesi in Israele, senza più versarle all’Autorità Nazionale Palestinese, come prevedevano i precedenti accordi, unilateralmente aboliti.

Membri di una famiglia palestinese sfollata si riscaldano attorno a un fuoco fuori dal loro rifugio nella città di Khan Younis, nella Striscia di Gaza meridionale, 27 dicembre 2025. Credit: EPA/ Haitham Imad/ ANSA.
Il ricorso continuo ad una violenza arbitraria non sembra creare alcun problema ai coloni, o almeno ai più radicalizzati: ritengono di avere diritto esclusivo alla terra, perché secondo loro nessun non-ebreo può vantare diritti sovrani sul territorio, anche se la sua famiglia ci vive da secoli e generazioni. Ai margini del conflitto armato, si stanno inoltre verificando fatti difficili da qualificare. Mi riferisco in particolare ad alcuni episodi di “trasferimento” di palestinesi. Come l’arrivo a Johannesburg, in Sudafrica, il 13 novembre scorso di un aereo con 153 palestinesi partiti da un aeroporto militare israeliano, ma provenienti dalla Striscia di Gaza. Si trattava di un volo charter con scalo a Nairobi della sudafricana Global Airways, i cui passeggeri erano privi di timbri di uscita e di altri documenti normalmente obbligatori. La segnalazione è delle autorità sudafricane, che alla fine hanno concesso un visto temporaneo di soggiorno.
Ma non sarebbe l’unico episodio di questo genere: si dice che a ottobre ci sia stato un altro volo di palestinesi in Sudafrica, e che un volo misterioso si sia verificato già a maggio quando un aereo di una compagnia rumena, dopo vari scali, avrebbe sbarcato in Indonesia e Malesia 57 palestinesi provenienti da Gaza. Chi abbia organizzato e finanziato questi “trasferimenti” non si capisce. O meglio: dietro a questo e altri misteri simili ci sarebbe una strana associazione estone, o fondata in Germania, che avrebbe una sede (che però nessuno è riuscito a trovare) anche nel quartiere occupato di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est. L’organizzazione si chiama Al Majd-Europe (almajdeurope.org), e si dichiara di ispirazione islamica. Secondo il network Al Jazeera (espulsa recentemente da Israele) e il quotidiano israeliano Haaretz, Al-Majd avrebbe operato i trasferimenti con l’assenso della direzione israeliana per la “migrazione volontaria” del Ministero della Difesa, e del Cogat, l’ente militare che amministra gli affari civili nei Territori Palestinesi. Nessuna conferma o smentita, come al solito, dal governo israeliano.
Un ulteriore grave allarme relativo a Gaza riguarda in particolare l’assistenza sanitaria. A metà dicembre 2025 il ministero per gli Affari della Diaspora e la Lotta contro l’Antisemitismo, che supervisiona una nuova procedura obbligatoria in vigore da marzo scorso per ammettere a Gaza le ong internazionali di assistenza sanitaria e aiuto umanitario, ha reso noto che delle circa 100 domande di registrazione presentate negli ultimi mesi “solo 14 sono state respinte” entro la fine di novembre. Per le altre circa 86 richieste sembrano necessarie ulteriori valutazioni, da definire a gennaio. Ma i criteri di respingimento non appaiono affatto tecnici né concedono margini di ricorso: non ottengono l’abilitazione le ong considerate “ostili” o coinvolte in “terrorismo” o “antisemitismo”, se non addirittura impegnate a “delegittimare lo Stato di Israele”. La questione è complessa, ma potrebbe annullare centinaia di migliaia di interventi di aiuto, soprattutto medico. Per capire di cosa e chi stiamo parlando: tra le 14 ong escluse ci sarebbero già Save the children e Oxfam. Ma il provvedimento messa al bando potrebbe riguardare anche Medici senza frontiere e decine di ong internazionali.