Iraq: il calcio è più forte dell’odio

Tra violenze settarie e ripetuti attentati terroristici, uno squarcio di gioia a Bagdad: la nazionale irachena si qualifica per le semifinali della Coppa d’Asia
iraq soccer

“Il calcio è l’unica cosa che tiene insieme gli iracheni e cancella le divisioni fra sunniti e sciiti” scandisce gioiosamente una tifosa che sventola la bandiera fuori dal finestrino della sua auto, in una Baghdad festante per l’accesso della nazionale irachena alle semifinali della Coppa d’Asia di calcio.

Nella capitale si sentono nitidamente colpi d’arma da fuoco ma, per una volta, sono un segnale di esultanza che accompagna le lunghe file di auto che portano migliaia di persone a sventolare l’unica vera bandiera nazionale, rossa, bianca e nera, per celebrare una vittoria che vale doppio: ad essere eliminati a Canberra sono gli eterni rivali dell’Iran.

Nell’ora di solito deputata alla preghiera in moschea del venerdì, gli uomini si sono radunati all’interno dei bar per assistere a un match storico e vissuto al cardiopalmo. Terminato sull'1-1 dopo i novanta minuti regolamentari, in virtù delle reti di Azmoun e Yasin, il match si chiudeva sul 3-3 alla fine dei supplementari (in gol Mahmoud, Pourallganji, Dawood dal dischetto e Fhoochannejhad).

Alla lotteria dei rigori, risultava decisivo l’errore di Amiri, che costava all’Iran la qualificazione tra le migliori quattro del continente asiatico. L'Iraq sfiderà la Corea del Sud nella prima semifinale, mentre la seconda opporrà Emirati Arabi e Australia.

È uno squarcio di gioia che riluce in un opaco e straziante contesto di violenze settarie e ripetuti attentati terroristici. Legata proprio al calcio, sport ritenuto inaccettabile per la folle logica del terrorismo, in quanto “usanza d’origine occidentale”, è la notizia drammatica dell’esecuzione di 13 ragazzini, avvenuta lo scorso 12 gennaio a Mosul. I miliziani islamisti dell'Isis non perdonano l’aver guardato in televisione proprio una partita di calcio della nazionale irachena, contro la Giordania.

La denuncia era partita dal gruppo di attivisti siriani "Raqqa is being slaughtered silently" (Raqqa viene macellata in silenzio), che citava l'agenzia giordana Petra News, a sua volta appoggiatasi a un lancio di un'agenzia irachena di alcuni giorni fa, ma il sito britannico investigativo International Business Times sostiene che il gruppo avrebbe verificato l'informazione dopo averla "corroborata con fonti locali".

La follia del sedicente Califfato islamico, non risparmia d’altra parte nessuno: donne lapidate per adulterio, uomini crocefissi per commerci illegali, giovani gettati nel vuoto da alti palazzi per "attività omosessuali". A Mosul, città del nord iracheno, le milizie jihadiste hanno giustiziato persino ragazzini per avere assistito una partita di calcio: gli uomini del califfo Abu Bakr al Baghdadi, che attualmente controllano la città, avrebbero condotto le giovani vittime allo stadio cittadino, prima di essere fucilate davanti ad una folla di decine di persone.

"Un messaggio per chi disattende le leggi dello Stato islamico" avrebbero scandito, secondo quanto riportato dai testimoni, agli altoparlanti. Secondo la tv Al Arabiya, i cadaveri dei giovani "sono rimasti in terra a lungo, perché i familiari delle vittime non sono andati a recuperarli nel timore di essere uccisi" dall'organizzazione terroristica.

Dal dolore alla speranza di unità, dalla tragedia ad una luce di speranza: la nazionale d’Iraq gioca per un popolo dilaniato da anni di dittatura, guerra e, adesso, spietata follia terroristica. Un gol per la nazionale irachena, oggi, può muovere il richiamo di una grande speranza di unità contro i più variegati e imprevedibili acuti del male.

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