Io non li capisco più

Io non capisco più

«I ragazzi di oggi sono immaturi, svogliati, irresponsabili… Sono un’educatrice e, con mio rammarico, dopo molti anni di lavoro con ragazzi e ragazze adolescenti, debbo testimoniare che la maggior parte di loro non è autonoma e minimamente in grado di gestire la propria vita. E lei ci crede ancora?».

Marisa – Bari

 

Carissima Marisa, grazie per la tua lettera e per il tuo sfogo che, al di là delle parole, manifesta la “passione educativa” presente nel tuo animo. È questa stessa “passione” che ti porta a constatare come oggi i ragazzi siano profondamente cambiati rispetto ad una volta. E non posso che concordare con te sul rischio sociale cui stiamo andando incontro.

Quando si accende la televisione, si sente quasi ogni giorno parlare di crisi economica e finanziaria (argomenti importanti per ciascuna famiglia), ma raramente si sente parlare del rischio educativo, del vuoto pedagogico in cui stiamo scivolando.

Il consumismo e il possedere tutto e subito hanno fatto apparire inutile l’investire a lungo termine su progetti e coerenze educative in grado di rispondere al bisogno vero dei ragazzi: costruire su basi sicure il loro futuro.

C’è un libro di due psichiatri francesi (M. Benasayag e G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli) che descrive molto bene il rischio che corrono oggi i nostri figli, quando vengono descritti come persone senza futuro, con progetti brevi ed effimeri, senza senso e meta.

C’è un malessere diffuso che attraversa un po’ tutte le fasce sociali e che porta molti a non sperare più. C’è un’incertezza diffusa, che porta a vivere il mondo come una minaccia, che porta molti a rinchiudersi, per difendersi da una paura inconscia e che non si riesce ad identificare.

Ma in tutto questo è evidente che i problemi dei nostri ragazzi sono lo specchio della cultura moderna occidentale fondata sulla promessa di un futuro basato sulle cose e sull’avere.

Allora, cosa fare? Mi viene in mente il libro di quel grande educatore che era Luigi Giussani, il quale di fronte al rischio educativo di una società che vuole avere futuro, afferma che occorre credere, investire, sperare. Occorre mettercela tutta, insomma, puntando a un’educazione a lungo termine, che contenga in sé i germi della solidarietà, dell’altruismo, della pazienza, della “comunione” come bene fra le persone.

E per fare tutto ciò occorre avere pazienza di seminare e soprattutto di non fermarsi al negativo dei nostri ragazzi, ma vederli nel loro dover essere: persone in grado di amare perché nate per amare.

acetiezio@iol.it

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