Invito a cena

Un desiderio che viene da molto lontano: Dio ha sempre sognato di sedersi a tavola con i suoi figli. E tutti gli incontri di Gesù attorno alla mensa esprimono un amore che si fa condivisione. La tavola è la metafora della famiglia, della fraternità, della gioia dello stare insieme in armonia, della festa.

«Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si cingerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12, 37).

Ancora a tavola! È davvero una ossessione per Gesù. Le sue parabole sono piene di banchetti, conviti, mense, feste di nozze… o finiscono a tavola, come nel racconto del figlio prodigo, per il cui ritorno viene ucciso il vitello grasso, o quella del buon pastore che, ritrovata la pecora smarrita, invita gli amici a tavola a fare festa con lui. Ci sono anche briciole che cadono dalla mensa del ricco (Mc 7, 28)

Paragona poi il regno dei cieli a un grande banchetto, dove «molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe» (Mt 8, 11; Lc 12, 37). Quando tutto sarà compiuto si adempirà infatti la beatitudine finale che vedrà tutti a mensa: «Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello!» (Ap 19, 9), Gesù berrà ancor il nuovo vino con noi (Mc 14, 25). Per il momento, nell’attesa di quel momento, sta alla porta e bussa sperando di potere entrare e cenare (cf. Ap 3, 20).

Ama stare a tavola, soprattutto con peccatori e pubblicani, fino ad essere tacciato di mangione e beone (cf. Lc 7, 34. Inizia il suo ministero con un banchetto, alle nozze di Cana, e lungo tutti i Vangeli lo troviamo «mentre sedeva a tavola» (Mt 9, 10; 26, 7; Mc 14, 18), al banchetto preparato da Levi, Zaccheo, Simone, Marta, Lazzaro e Maria a Betania. Ricorda che gli invitati a nozze non possono digiunare (Mc 2, 19), che è bene mettersi all’ultimo posto durante i banchetti (Lc 14, 10).

Fino a quando siede a mensa per l’ultima cena nel cenacolo: aveva desiderato tanto mangiare la Pasqua con i suoi. Anche dopo la resurrezione continua a incontrare i suoi a tavola: a Emmaus, nel cenacolo, sul lago, e di nuovo mangia con loro.

Quel desiderio, lo si sa, viene da molto lontano. Dio ha sempre sognato di sedersi a tavola con i suoi figli. Isaia aveva annuncia questo suo proposito: «Preparerà il Signore degli eserciti / per tutti i popoli, su questo monte, / un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, / di cibi succulenti, di vini raffinati» (25, 6).

Gesù, pur gustando cibi e vini, non si sedeva a tavola per il piacere del mangiare, aveva ben altro in mente. Anche Dio, al di là degli antropomorfismi che lo ritraggono mentre aspira con compiacenza il profumo delle vivande grasse arrostite, non è che mangia e beve. La tavola è la metafora della famiglia, della fraternità, della gioia dello stare insieme in armonia, della festa.

Questo è il sogno di Dio che Gesù intercetta e fa suo: radunare l’umanità intera in una sola famiglia unita. Per far questo è pronto a preparare il pesce arrostito sulla brace, come sul lago dopo la risurrezione, e a lavare i piedi, come nell’ultima cena.

Ed eccoci alla promessa che Gesù fa, parlando della fine dei tempi. Ancora una volta racconta una piccola parabola sul personale di servizio di un signore che manca da casa da un po’ di tempo. Se il signore, tornando all’improvviso, trova il personale di servizio al lavoro, sarà talmente contendo di loro che preparerà la cena, li inviterà a tavola e, lui che è il padrone, si metterà a servizio dei servi.

In questa parabola Gesù sta parlando di sé. Dopo la sua ascensione al cielo il suo ritorno sembra tanto lontano. Verrebbe voglia di approfittare della sua assenza per prendersela con calma, come dice il proverbio: “Quando il gatto manca i topi ballano”. L’immagine che torna nei Vangeli è quella di chi, nell’attesa troppo prolungata, si addormenta fino a dimenticarsi del suo Signore. Di qui l’invito costante di Gesù a “vegliare”, ripreso nelle lettere dell’apostolo Paolo. È proprio dell’amore stare svegli, attendere con impazienza il ritorno della persona amata, a qualsiasi ora arrivi. «Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore», confida la sposa del Cantico dei cantici (5, 2). I primi cristiani pregavano invocando la venuta del Signore: «Marana tha» (1 Cor 16,22), «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20). 

Se così sarà, se vivremo con passione e diligenza il lavoro che ci è stato affidato, saremo invitati a sedersi alla mensa nel regno (Lc 13, 29; 22, 30) e Gesù stesso passerà a servirci. Un’immagine meravigliosa, che ci rivela una promessa vera: quella di far parte della famiglia dei figli di Dio e di godere per sempre del suo infinito amore.

 

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons