Visiting professor all’Università di Firenze, Iryna Kohut è una giovane docente di Pedagogia nella V.G. Korolenko National Pedagogical University di Poltava, città nei pressi della più nota Kharkiv, occupata dai russi nella prima fase del conflitto in Ucraina, e liberata appena il mese scorso dalla riconquista da parte dell’esercito di Kiev, con tutti i drammi che la guerra porta con sé. Lei stessa, oltre che nel suo insegnare, patisce nella sua vita privata il dramma della divisione provocata dalla guerra: il marito è militare. Del primo giorno di guerra, la famiglia Kohut è stata costretta ad abbandonare la propria casa nel giro di 10 minuti, non uno di più.

A sin. la professoressa da noi intervistata.
In una conferenza nella Sala Teatina del Centro internazionale studenti Giorgio la Pira, a Firenze, la professoressa ha cercato di spiegare le condizioni drammatiche nelle quali versa il sistema educativo ucraino, di tutti gli ordini e gradi, soprattutto nel Nord, nell’Est e nel Sud del Paese, seguendo la ben nota carta delle posizioni belliche.
Così, circolano liste di ogni genere negli ambienti dell’educazione in Ucraina: dei docenti deceduti o dispersi; degli studenti partiti al servizio militare; dei bambini immigrati in Occidente con le madri, i fratelli e le sorelle; degli edifici scolastici e universitari danneggiati o distrutti; delle istituzioni scolastiche migrate in altre regioni ucraine e “alloggiate” in altri istituti scolastici, in palestre, centri sociali, capannoni industriali, ovunque; degli studenti fuggiti dalle zone di guerra e accolti da altri istituti; dei docenti e degli studenti impossibilitati a continuare studi e lavori per trauma psichici; del materiale scolastico mancante perché distrutto e abbandonato; di chi necessita di sostegno economico e psicologico; dei docenti e degli scolari costretti a forza a lasciare l’Ucraina per riguadagnare la “patria russa”… Liste sempre in ridefinizione.
In tale contesto il ministero per l’Educazione nazionale è stato ed è sottoposto a uno stress senza precedenti, per riuscire a mandare avanti la macchina della scuola e dell’università, grazie appunto al supporto non solo tecnologico di tanti Paesi europei: innumerevoli sono i gemellaggi che sono stati istituiti per sostenere gli sforzi dei singoli istituti. Grande aiuto è venuto dalle reti di Internet, che hanno permesso di sostituire con la didattica a distanza, soprattutto nella prima parte della guerra, le lezioni in presenza. Anche se, va detto, con enormi sforzi si è cercato e si cerca di favorire il ritorno alla didattica dal vivo, anche perché in clima di guerra c’è bisogno di rapporti umani non solo virtuali, ma con la vicinanza dei corpi. Ciò conforta. «Soprattutto − ha spiegato la Hohut −, bisogna mantenere sentimenti umani pur stando in guerra, nonostante le penurie di ogni genere, compresi i supporti educativi e culturali».
Ad una domanda sul problema dell’uso della lingua russa nelle scuole ucraine, lingua depennata per legge dal sistema attuale, pur avendo un terzo della popolazione di lingua madre russa: «Tutti, comunque, parlano o almeno capiscono la lingua ucraina − ha risposto −, anche se i problemi oggi sono logistici e pedagogici, soprattutto». Sull’assistenza psicologica, la professoressa ha notato come il supporto sia stato assicurato dallo Stato, ma anche dalla Caritas e da altre organizzazioni della società civile, anche dall’estero. Molti credono di non aver bisogno di supporti psicologici, ma in realtà queste persone spesso e volentieri sono coloro che più ne hanno bisogno».
Non si è potuto evitare l’argomento della situazione scolastica dei tanti bambini rifugiatisi in Occidente, anche in Italia: «Questo è un grosso problema, per l’arrivo precipitoso nella prima settimana della guerra che fa sì che non si sappia molto spesso quale potrebbe essere il proprio futuro: si resta un anno? qualche mese? per sempre? Val la pena di investire troppe energie nell’imparare la lingua di chi ci ospita? In tanti casi, sono proprio i bambini che vanno a scuola e che imparano in pochi giorni i rudimenti della nuova lingua ad essere l’interfaccia con la società che li ospita».
E dopo? Iryna Kohut è lapidaria: «Nella lingua ucraina e in quella russa si pronuncia in modo diverso la parola “pace”, ma la si scrive allo stesso identico modo: mir».
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