Individualisti e prigionieri del presente

Questi sono gli italiani per la ricerca Fenomenologia di una crisi antropologica: uno squarcio non certo ottimistico del nostro Paese

Che le cose nel nostro Paese non girano è abbastanza notorio, e il Censis lo conferma anche attraverso la ricerca Fenomenologia di una crisi antropologica all’interno dell’annuale appuntamento di riflessione «Un mese di sociale».

L’analisi del noto istituto di ricerca socio-economica, parte da una constatazione: «Siamo una società in cui sono sempre più deboli i riferimenti valoriali e gli ideali comuni, in cui è più fragile la consistenza dei legami e delle relazioni sociali». In questa indeterminatezza diffusa crescono comportamenti spiegabili come l’effetto di una pervasiva sregolazione delle pulsioni, risultato della perdita di molti dei riferimenti normativi che fanno da guida ai comportamenti. È il depotenziamento della legge, del padre, del dettato religioso, della coscienza, della stessa autoregolamentazione.

 

Inoltre la ricerca constata che «gli italiani sembrano sempre più imprigionati nel presente. Con uno scarso senso della storia e senza visione del futuro. Al desiderio si è sostituita la voglia, alle passioni le emozioni, al progetto l’annuncio. In un mondo dominato dalle emozioni, conta solo quello che si prova nel presente, non la tensione che porta a guardare lontano».

Iniziamo dalle regole. Dall’indagine del Censis emerge infatti il senso della relatività delle regole e il tentativo di legittimare le pulsioni. È diffuso il sentimento autoreferenziale per cui ognuno è l’arbitro unico dei propri comportamenti: è questa l’opinione dell’85,5% degli italiani . Inoltre, si ritiene che le regole possano essere aggirate in molte situazioni. Nel divertimento è ammessa la trasgressione soprattutto dai più giovani, si crede che, quando è necessario, bisogna difendersi da sé anche con le cattive maniere. Per raggiungere i propri fini bisogna accettare dei compromessi. Si può essere buoni cattolici anche senza tener conto della morale della Chiesa in materia di sessualità per il 63,5% (dato che sfiora l’80% tra i più giovani).

 

Questa caduta dei filtri porta a fenomeni sempre più diffusi come forme di violenza in cui è forte la componente della pulsione e della perdita di controllo e dell’aggressività. Al top c’è il bisogno di apparire. Nel 2010 sono stati circa 450.000 gli interventi di chirurgia estetica effettuati in Italia. Anoressia e bulimia sono le prime cause di morte tra le giovani di 12-25 anni, e ne sono colpite circa 200.000 donne.

 

La dimensione più distruttiva delle pulsioni si riscontra nel progressivo crescere della depressione. Il consumo di antidepressivi è emblematico: le dosi giornaliere sono più che raddoppiate dal 2001 al 2009, passando da 16,2 a 34,7 per 1.000 abitanti (+114,2%).

Non si tratta quindi di un semplice mutamento dei costumi, ma di una vera e propria trasformazione antropologica; è tutta la società che tende all’accelerazione “a vuoto” e nel presente, la società e l’individuo, pur vivendo nella convinzione di fare una vita “frenetica”, non progettano il futuro o, se lo progettano, lo fanno spesso in modo illusorio, rimanendo nella dimensione dell’annuncio affermazioni come: “farò la dieta, studierò, mi prenderò cura di me stesso..” sembrano riecheggiare affermazioni pubbliche di ben più alto respiro, ma viziate del medesimo presentismo: “faremo le riforme, realizzeremo le grandi opere …”

 

Siamo un Paese astorico, nonostante gli sforzi – alcuni coronati da successi insperati – delle manifestazioni per il 150° anniversario. Essere astorici per il Censis è vivere collettivamente ed individualmente fuori dalla storia: nessuno sa dire con certezza se siamo in guerra oppure no, se abbiamo una politica estera nazionale e come ci rapportiamo ai grandi fenomeni mondiali, alle volate tecnologiche, o anche con le avanguardie artistiche e culturali: tutto scorre ai margini della nostra società. Abituati a vivere nell’immediato più che nella storia e quindi nelle emozioni più che nei fatti, perdono di efficacia le esortazioni morali, percepite solo a livello emozionale e lì consumate: a livello emotivo tutti ci sentiamo responsabili, solidali e altruisti, tutti sentiamo un generico moto di spirito verso la bontà e quindi tutti riteniamo di essere delle persone “buone”.

Ma questa bontà poi non si confronta sufficientemente con la storia: posso mandare un sms di solidarietà con i terremotati di Haiti, perché quella tragedia mi ha emozionato, ma non trovo poi il modo di occuparmi 5 minuti a settimana del mio vicino di casa.

 

Poi vi è l’incarnazione fisica di questa crisi. Il Padre, l’Insegnante, il Sacerdote sono tre figure la cui crisi è parte integrante del disagio antropologico della nostra società: figure idealmente forti, di riferimento, incarnazione della Legge, si dimostrano oggi sin troppo umane nelle loro fragilità.

L’eccesso di individualismo e della «libertà di essere se stessi» ad ogni costo, ha dunque infranto figure simbolo: quale la genitorialità, la scuola, la parrocchia, ecc. Per più del 39% degli italiani il padre non rappresenta più quello che è stato per generazioni (regole, senso del limite, rapporto con i figli. Il padre oggi è sicuramente più presente nelle attività ludiche con i figli. Quasi l’84% degli uomini in coppia con donne occupate è coinvolto nei lavori familiari.

Sul fronte scuola, il 53% degli insegnanti ha scelto di farlo in ragione di un’aspirazione personale, ma oltre un terzo (il 50% nella scuola secondaria di secondo grado) non rifarebbe la stessa scelta. C’è una profonda insoddisfazione per lo scarso riconoscimento sociale ed economico della professione. Secondo più dell’82% degli insegnanti non vengono realizzati gli obiettivi della scuola, il primo dei quali consiste nella educazione ai valori e alle regole della convivenza civile. I loro alunni sono connotati dall’arte di arrangiarsi e da pressappochismo.

Mentre nella “cattolicissima” Italiaprevale l’idea di una morale a misura di ciascuno. Più del 78% degli italiani è favorevole all’utilizzo di cellule staminali per fini terapeutici, il 67% alla procreazione assistita, il 53% alla fecondazione eterologa, il 50% alla diagnosi preimpianto. Inoltre, più del 59% è favorevole alla interruzione volontaria di gravidanza e il 53% all’uso ospedaliero della pillola abortiva. Sono dati che testimoniano un allontanamento etico dalla Chiesa, sebbene i sacerdoti attivi nelle 25mila parrocchie italiane abbiano un ruolo centrale nel contrastare il disagio sociale. Contano come risposta ai bisogni sociali, ma non nella diffusione dei valori etici.

 

Non funzionano più come in passato i miti trainanti del soggettivismo, che riescono sempre meno a mobilitare gli italiani: la spinta verso i consumi, il fare impresa, la fiducia nel benessere.

Più del 57% degli italiani ha la sensazione che, al di là dei problemi di reddito, rispetto a qualche anno fa nella propria famiglia c’è un desiderio meno intenso di acquistare beni e servizi. Cala poi l’attrazione del «mai sotto padrone». Tra il 2004 e il 2009 il numero di imprenditori è passato da 400mila a 260mila, con una riduzione del 36%. E il numero dei lavoratori autonomi con meno di 35 anni è diminuito nello stesso periodo di circa 500mila unità.

Non traina più neanche la fiducia nella mobilità sociale che conduce a un benessere crescente. Il 34% degli italiani pensa che la generazione dei figli è destinata ad avere uno status socio-economico peggiore del proprio e il 67,5% ritiene che in futuro l’Italia sarà meno benestante di oggi.

 

Il quadro che ci presenta il Censis non desta forti entusiasmi. Ma forse la ricetta è sempre la stessa, come il sugo domenicale della nonna che non passa mai di moda.

Una società fatta di persone anziché di individui, ognuna con la propria identità, cultura, con le proprie convinzioni, ma aperta alla solidarietà, al confronto e anche al conflitto, quando la coscienza lo esige, perché è solo da un rapporto costante con l’altro che può nascere una società in divenire, pronta ad accogliere il nuovo, disponibile a rivedere posizioni passate, con un occhio alla memoria dei propri valori e l’altro al futuro, per rendere il presente degno di essere vissuto e non immobile.

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