India, papa Francesco e le Chiese di san Tommaso

Duro monito di papa Francesco alla Chiesa siro-malabarese. I cattolici di rito siro-malabarese, che, insieme a quello siro-malankarese rappresenta la dimensione orientale della Chiesa cattolica in India, stanno da tempo attraversando una crisi profonda. Si tratta di comunità antichissime nate, secondo la tradizione, dalla predicazione dell’apostololo Tommaso, primo evangelizzatore dell’India
Chiesa India siro-malankarese Archivio (AP Photo/Gregorio Borgia)

Attualmente, i quasi sei milioni di fedeli della Chiesa cattolica siro-malabarese, per la stragrande maggioranza originari della zona sud-occidentale dell’India, nello stato del Kerala, sono distinti in 30 eparchie e 5 arcieparchie (termini che hanno lo stesso significato di diocesi).

Si tratta di una chiesa molto ben strutturata grazie anche alla sua antica tradizione che, pure, è passata attraverso momenti dolorosi di scontro con la latinizzazione coatta voluta dai colonizzatori portoghesi fra il XVI e il XVII secolo. Oggi, questa Chiesa conta circa 6 mila sacerdoti e 35 mila consacrate, con più di 1.500 seminaristi. Alcune sue diocesi si trovano anche nel nord India o in metropoli come Delhi, Mumbai, Kolkata, Bengaluru, Chennai. Si tratta, fra l’altro, di una Chiesa con un laicato tradizionalmente molto impegnato e maturo, che ha un ruolo importante nella vita delle parrocchie.

La Chiesa siro-malabarese da decenni si trova al centro di diversi contenziosi. Alla fine degli anni Settanta e nella prima metà degli Ottanta del secolo scorso, a causa di una notevole migrazione interna di popolazione dal Kerala ad altri stati dell’India, essendosi create delle sacche di gruppi di rito orientale, la Chiesa siro-malabarese ottenne dal Vaticano la formazione di eparchie che potessero assicurare la cura pastorale dei propri fedeli e il mantenimento del rito orientale, che comunque, nel frattempo si era sensibilmente latinizzato.

Il processo non fu indolore. Creò, infatti, non pochi attriti sia coi propri fedeli, che si erano ormai ben ambientanti nel contesto delle diocesi latine, che con l’episcopato e le parrocchie di rito romano. Fu necessaria l’abile e paziente tessitura di rapporti da parte di personealità di alto profilo ecclesiale, sia da una parte che dall’altra, per arrivare verso la fine del millennio scorso ad una normalizzazione della situazione. Oggi questo aspetto è praticamente risolto e le diocesi e le eparchie collaborano in modo costruttivo senza tensioni particolari.

Nel corso degli ultimi decenni, invece, si è accesa – o meglio riaccesa – una polemica forte fra due scuole di rito orientale, quella che faceva capo all’arcivescovo Mar Joseph Powathil di Changanacherry, che tendeva ad un ritorno alla tradizione più osservante del rito, e quella animata dal Card. Parecatthil, prima, e dal Card. Padiyara, arcivescovi di Ernakulam, successivamente.

Quest’ultima tendenza mirava ad un certo adeguamento alla riforma della messa approvata dal Concilio Vaticano II per la Chiesa Cattolica latina. La discussione, quindi, va avanti da decenni, da quando, con la progressiva latinizzazione, la liturgia si è avvicinata a quella occidentale e l’originale rito siriaco (rivolto verso l’altare) è stato in parte sostituito da una forma rivolta alla comunità. Nel 1934, inoltre, Pio XI aveva chiesto il riavvicinamento al vecchio rito, abbandonato da secoli; e negli anni ’80, sono stati pubblicati nuovi testi per il Santo Qurbana, la Messa di rito siro-malabarese. E da allora sono sorti i problemi.

Più recentemente, il Sinodo della Chiesa arcivescovile maggiore siro-malabarese del 2021, ha cercato una soluzione di compromesso per cui la prima parte della funzione, cioè la Liturgia della Parola, e la parte conclusiva vengono celebrate dal sacerdote rivolto al popolo, mentre la parte centrale, la liturgia eucaristica, viene celebrata dal sacerdote rivolto verso oriente, guardando verso l’altare. La decisione del Sinodo è stata approvata dalla Santa Sede, ma non accettata da tutti.

Il 28 novembre 2021, 34 eparchie hanno deciso di attuare la decisione sinodale, mentre nell’arcieparchia di Ernakulam-Angamaly molti sacerdoti e fedeli hanno proseguito nell’affermare la propria “particolarità liturgica”, con il celebrante sempre rivolto all’assemblea, in contrasto con il resto della Chiesa siro-malabarese.

Nel 1992, la Santa Sede approvò la proposta di Ernakulam come sede dell’arcivescovo maggiore di tutti i siro-malabaresi, e il Card. Padiyara divenne il primo prelato a occupare questa posizione. Negli ultimi anni, nella sede di Ernakulam, si sono succeduti nuovi arcivescovi maggiori, fra i quali, il Card. Alencherry, che ha guidato la diocesi più importante di questa Chiesa per dodici anni.

Nei giorni scorsi papa Francesco ha inviato una calorosa lettera al cardinale per la preziosa opera compiuta in questi anni ed ha nominato un amministratore in attesa che il Sacro Sinodo siro-malabarese scelga il nuovo Arcivescovo maggiore, secondo il Codice di Diritto canonico orientale. Allo stesso tempo, il papa ha rivolto un severo monito nei confronti dei sacerdoti che stanno contribuendo da alcuni anni a creare una frattura fra i fedeli di questa Chiesa rivendicando la necessità di un ritorno ad un rito più antico.

La questione oggi non è più solo ecclesiale, ma è diventata di ordine pubblico a causa delle molte manifestazioni organizzate per le vie di Ernakulam, la città più importante del Kerala. Il messaggio che papa Francesco ha inviato alla Chiesa siro-malabarese, oltre che scritto, è stato anche letto dallo stesso pontefice e registrato in un video, dove il papa chiede con forza che nel prossimo Natale in tutte le Chiese si celebri il rito eucaristico secondo la modalità “unificata” adottata dal Sinodo della Chiesa siro-malabarese dopo anni di discussioni, ma rigettata dal clero di quella che è la diocesi dove si trova la sede dell’arcivescovo maggiore.

«Siete chiese, non diventate setta – dice con parole chiarissime Francesco –. Non costringete la competente autorità ecclesiastica a prendere atto che siete usciti dalla Chiesa, perché non siete più in comunione con i vostri pastori e con il successore dell’Apostolo Pietro, chiamato a confermare tutti i fratelli e sorelle nella fede e a conservarli nell’unità della Chiesa».

Alcuni mesi fa, la Santa Sede aveva inviato un visitatore apostolico per facilitare la soluzione del contenzioso, ma la visita si era rivelata una provocazione per la sensibilità di alcune fazioni coinvolte nella questione.

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