Imprese del futuro prossimo con dipendenti “ibridi”

Con la rivoluzione tecnologica i confini dell’umano appaiono sempre più sfumati e ci pongono di fronte a nuovi scenari esistenziali e lavorativi che non possono estinguere la ricerca di senso. Suggestioni e intuizioni dalla narrativa fantascientifica e dal mondo dell’arte
World Robot Conference a Pechino 2022. (AP Photo/Ng Han Guan)

Dipendenti e robot. La narrativa spesso anticipa il mondo che verrà. L’ultimo libro della scrittrice danese Olga Ravn, “I dipendenti. Un romanzo sulla forza lavoro nel XXII secolo”, ci porta a bordo di un’astronave. L’ambientazione non è nuova, l’epopea della fantascienza ci ha restituito in abbondanza letteratura e filmografia per costruire un solido immaginario collettivo.

La vicenda riguarda una missione nel pianeta chiamato “Grande scoperta” con un equipaggio costituito da umani e umanoidi, il cui obiettivo è di prelevare dal pianeta e custodire “oggetti misteriosi” con effetti sconosciuti.

Al ritorno dalla missione una commissione di inchiesta intervista l’equipaggio, per indagare gli effetti che questi oggetti hanno prodotto su di loro. Il libro riporta l’esito di questa indagine. Vi troviamo le risposte dei membri dell’equipaggio in forma di note, che vanno a comporre un diario di bordo, a tratti incompleto e riscritto, che restituisce le esperienze e le emozioni dal contatto fra gli oggetti misteriosi ed i loro diversi custodi.

Un’unica grande domanda attraversa i frammenti di conversazioni: cosa significa essere vivi? Umani ed umanoidi condividono il medesimo linguaggio, un classico gergo aziendale.

In questo senso la navicella spaziale perde la poetica delle esplorazioni interstellari per diventare spazio di lavoro condiviso, più affine alla nostra esperienza di fabbrica o ufficio.

Il lettore coglie dalle prime pagine la prospettiva esistenziale radicalmente diversa fra umani ed umanoidi, e alcuni passaggi sull’etica del lavoro sono folgoranti. Un umanoide esprime il suo spiazzamento. «Non sono mai stato non occupato. Sono fatto per lavorare. A volte il mio collega umano dice di non aver voglia di lavorare, e poi aggiunge una cosa molto curiosa, assolutamente sciocca. Com’è che dice? Uno è più del lavoro che fa, o è: Uno non è soltanto il lavoro che fa? Ma allora che cosa dovresti essere?»

La nostalgia pervade gli umani, che rimpiangono il tempo passato sulla terra. Lo stesso sentimento investe gli umanoidi che sono però privi di capacità retrospettiva e disorientati dal desiderare oggetti che non riescono a prefigurare nella loro mimesi dei comportamenti umani.

Fra le pieghe della sottile ironia si annida l’angoscia di tutti, umani e umanoidi, guidati e osservati dai proprietari della compagnia – il terzo gruppo sociale della storia- e mandanti dell’indagine. Un senso di freddo sfuggente, di assenza di anima, pervade i loro sentimenti. Possiamo chiamarli così anche per i robot con intelligenza artificiale?

La materialità paradossalmente fa capolino in un mondo dove la virtualità del software – l’intelligenza artificiale- sembrerebbe privarci delle esperienze sensoriali; anche gli umanoidi, come noi umani, sperimentano i confini del proprio sé, della propria identità, e provano a scoprire gli oggetti provando ad assaggiarli oltre che a toccarli.

Forse, in fondo, ciò che abbiamo prodotto contiene qualcosa di umano, mentre il terrore e l’inquietudine nascono in ciò che appare totalmente estraneo e non-umano, gli “oggetti misteriosi”.

Con la rivoluzione tecnologica i confini dell’umano appaiono sempre più sfumati e ci pongono di fronte a scenari esistenziali e lavorativi non così lontani dal romanzo di Olga Ravn. È singolare, o forse anche no, che la genesi di questo libro nasca come commento ad una installazione dell’artista Lea Guldditte Hestelund sulla “relazione fra differenti tipi di presenza e corpo”, umani e oggetti che siano.

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