Imparare ad avere compassione di sé stessi

Un difetto, un comportamento, non identificano tutta la persona. Piuttosto che ossessionarsi per le cose che non vanno, è importante imparare l'auto-compassione, per volersi più bene e stare meglio.

Quando ti senti inadeguato tendi ad ossessionarti e fissarti su tutto ciò che è sbagliato? A volte ci attacchiamo al nostro atteggiamento autocritico e ai giudizi su noi stessi. Lo possiamo fare in tanti modi diversi, non concedendoci la possibilità di un errore, commentando con disprezzo le nostre caratteristiche fisiche, mettendo in rilievo i nostri limiti.

Quante volte avete sentito qualcuno lamentarsi di aspetti fisici e quante volte avete sentito affermazioni come “mi sento bella”!?! Può succedere che una caratteristica fisica, caratteriale o un atto comportamentale che viene generalizzato viene percepito in modo amplificato come se fosse la persona stessa. È un processo che crea un’immagine alterata di sé: siamo molto di più di un naso pronunciato, non siamo solo kg, non siamo solo l’errore commesso. Siamo molto di più, siamo complessi e sfaccettati, siamo l’integrazione di tante polarità. Siamo bianco e nero, con tutte le sfumature!

Inoltre, quando c’è la tendenza a identificarsi con i fallimenti ci si tiene aggrappati al dolore senza riuscire a lasciarlo andare. Questa modalità solitamente è correlata anche al perfezionismo e ad una bassa autostima.

C’è una chiave per nutrire un rapporto costruttivo e amorevole con sé stessi: l’autocompassione.
Alcune ricerche sull’auto-compassione hanno studiato la sua relazione con delle qualità personali, come il grado di soddisfazione della vita, la gestione del fallimento, l’autostima e la saggezza. La psicologa Kristin Neff ha sviluppato una scala per misurarla e gli elementi chiave che la caratterizzano sono: l’auto-gentilezza, l’umanità condivisa e la mindfulness; i loro opposti invece sono l’auto-giudizio, l’isolamento la sovra-identificazione.

L’auto-gentilezza è l’opposto dell’auto-giudizio, è un pensiero tollerante verso i propri difetti, al contrario si sperimenta un senso di inadeguatezza. Tutti noi abbiamo la tendenza a giudicare noi stessi quando le cose non vanno come vorremmo, aggiungendo sale alla ferita. Una persona auto-compassionevole risponde alle difficoltà retrocedendo ad una posizione di calore e comprensione.

Per umanità condivisa si intende la consapevolezza di essere parte di un’umanità quando esperiamo un avvenimento avverso. A volte crediamo di essere le uniche persone al mondo a soffrire per certi eventi critici. Inoltre, tendiamo a vergognarci della nostra sventura, come se fossimo responsabili di tutto. Il sentimento di vergogna isola, crea distanza sociale.

Quando le emozioni più intense o dolorose si affievoliscono e vediamo le cose da altre prospettive, probabilmente scopriamo che quello che ci sta succedendo è il risultato di qualcosa di casuale perché “non succede tutto a me”. La nostra esperienza è condivisa e condivisibile, le nostre vite ed emozioni risuonano empaticamente. In questo modo la condivisione della condizione umana ci conforta dal nostro sentirci soli e ci allontana dall’isolamento.

Christine Neff suggerisce di sviluppare alcune abilità attraverso la mindfulness al fine di gestire emozioni complesse. Quest’ultima è una tecnica che consente di accogliere l’esperienza in modo caloroso e rassicurante. La mindfulness ci permette di accettare pensieri ed emozioni dolorosi in modo equilibrato. L’opposto è la sovra-identificazione che avviene quando perdiamo noi stessi nella reattività emotiva: “diventiamo quella emozione” o la lottiamo contro (“non ce la faccio più”).

La compassione compare quando sentiamo una spinta amorevole in risposta alla sofferenza dell’altro, desiderando di alleviarla. Quando stiamo soffrendo e sentiamo il bisogno di aiutare noi stessi, allora, stiamo sperimentando l’auto-compassione!

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