Immigrati e imprenditori di successo

Le imprese straniere, secondo il Dossier immigrazione 2013, sono 477.519 e rappresentano il 7,8 per cento del totale nazionale. Soffrono la crisi ma resistono meglio delle imprese italiane. La sfida dell’integrazione
Le imprese cinesi si sono imposte nel settore tessile

«Gli immigrati che sono arrivati a Ellis Island, con nulla se non i loro nomi, con alcune borse e grandi speranze, hanno fondato imprese che sono diventate le fondamenta di intere comunità». Nel suo discorso per la vittoria elettorale, il nuovo sindaco di New York Bill de Blasio, di origine italiana, ha voluto ricordare i 12 milioni di immigrati transitati per Ellis Island, la nostra Lampedusa, un’isoletta di fronte a Manhattan, New York, per l’importanza del loro contributo imprenditoriale portato agli Stati Uniti. Migliaia di posti di lavoro, di indotto, di entrate fiscali per lo Stato, con un impatto significativo sulla cultura e sull’economia. Oggi, secondo un rapporto della Kauffman Foundation, per il 25 per cento delle nuove imprese hi-tech e di ingegneria negli Stati Uniti, nel periodo dal 1995 al 2005 almeno uno dei fondatori è nato all’estero.

Sarà così anche l’Italia del futuro? Secondo l’ultimo Dossier statistico sull’immigrazione, a cura del Centro studi e ricerche Idos, le imprese straniere registrate negli Albi delle Camere di Commercio risultano 477.519 al 31 dicembre del 2012. Bisogna specificare che l’imprenditoria straniera in Italia è data dalla somma di imprese individuali in cui il titolare sia nato in un Paese estero, società di persone in cui il 50 per cento dei soci sia costituito da persone nate in un Paese estero e società di capitali in cui oltre il 50 per cento dei soci e degli amministratori sia nato in un Paese estero. In totale rappresentano il 7,8 per cento del totale e, rispetto all’anno precedente, sono aumentate del 5,4 per cento rispetto all’andamento generale delle imprese, che ha registrato nello stesso arco temporale una sostanziale stabilità, lo 0,3 per cento.

È un dato indicativo, perché mentre crolla l’imprenditoria italiana, l’imprenditoria immigrata cresce producendo un valore stimato aggiunto di 7 miliardi di euro. Le attività sono concentrate in pochi settori. Il 61 per cento delle imprese straniere opera nel commercio (34,8 per cento), nelle costruzioni (26,5 per cento) e nell’industria (8,6 per cento). Il 56,8 per cento dei titoli appartiene a soli quattro Paesi: il Marocco (16,4 per cento), la Romania (15,4 per cento), la Cina (14,7 per cento) e l’Albania (10,3 per cento).

Le motivazioni sono da ricercare nella ricerca di una realizzazione personale, di una maggiore indipendenza economica e di un’opportunità per superare una situazione di svantaggio sociale. Gli imprenditori immigrati sono disponibili all’impegno in campi innovativi e predisposti ad attività di import/export che possono essere di beneficio tanto all’Italia quanto ai Paesi di origine. I segnali della crisi sono gli stessi delle imprese italiane: riduzione delle attività svolte, la difficoltà di ottenere i pagamenti dovuti, la burocrazia, l’abbassamento del reddito medio e il rischio concreto di cessare l’attività. Per gli imprenditori immigrati, in aggiunta, è più difficile accedere alla concessione del credito d’impresa, spesso non tanto per le caratteristiche dell’impresa, quanto dalla supposta affidabilità della comunità di appartenenza.

Oggi le imprese costituite da immigrati in Italia forniscono circa il 12 per cento del Pil nazionale e le minoranze etniche nella storia sono state sempre fattore di sviluppo. Si pensi all’apporto delle comunità ebraiche in Europa nello sviluppo del credito e della finanza nel Medioevo, ai pariah in India nell’economia tradizionale, ai moriscos in Spagna dopo la cacciata dei musulmani. «Com’è accaduto per le emigrazioni italiane all’estero – aggiunge Giuseppe Bea, responsabile immigrazione di Cna Epasa –, tutte le minoranze hanno dovuto lottare per affermarsi».

Una grande volontà, capacità di resistenza, motivazioni, tenacia sono tra i fattori di successo dell’imprenditoria immigrata. «Negli anni di maggiore difficoltà le aziende italiane chiudono con più facilità – spiega Giuseppe Bea –, anche perché le imprese d’imprenditori immigrati possono esercitare una concorrenza maggiore, con turni di lavoro più ampi e un sostegno economico dalle loro comunità che gli permettono di restare sul mercato».

«Molti immigrati ‒ aggiunge Indra Perera, presidente del CNA World Roma ‒ erano dei dipendenti. Con i loro risparmi, quelli dei parenti, cominciano un loro lavoro autonomo. Una volta acquisite delle conoscenze, come gli egiziani nel fare la pizza, i rumeni o i polacchi si mettono in proprio». Alcuni immigrati, poi, per la crisi perdono il lavoro, non rientrano al Paese di origine e preferiscono essere indipendenti; altri, invece, sostituiscono alcuni italiani che lasciano le loro imprese. «Nel campo dell’ortofrutta ‒ spiega Indra Perera ‒ gli immigrati sono dei grandi lavoratori e tengono i negozi sempre aperti. Questo piace agli italiani che possono sempre fare la spesa. Gli italiani rinunciano a questo tipo di attività e sono mestieri intrapresi dagli stranierei che richiedono grandi sacrifici, ci si alza alle tre di notte per andare ai mercati generali». I problemi riguardano l’accesso al credito perché «mentre un italiano ha più garanzie per chiedere un prestito, l’immigrato non ne ha e si rivolge a istituti privati». Inoltre «un immigrato è ben controllato perché non è concesso il permesso di soggiorno se non ha versato tutti i contributi. La tessera sanitaria non viene concessa se non ci sono tutti i contributi Inps».

«Il problema principale ‒ conclude Indra Perera ‒ è creare armonia tra immigrati e cittadini italiani. Gli immigrati portano un contributo economico e sociale, ma manca l’integrazione. La stessa cittadinanza agli stranieri non è una carta d’identità, deve essere il frutto di un rispetto reciproco dove gli immigrati possano sentire l’Italia come una seconda patria».

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons