Ilva, i patti vanno rispettati

Questa la richiesta dei lavoratori di Cornigliano, che vedono a rischio l'attuazione dell'accordo già siglato nel 2005 per la riconversione dello stabilimento siderurgico. E con esso le prospettive occupazionali e di salvaguardia ambientale
Manifestazione di lavoratori

Dura un’ora appena l’assemblea dei lavoratori all’Ilva di Cornigliano; poi i siderurgici sono partono in corteo diretti verso la Prefettura. Nel lungo serpentone che attraversa la città ci sono anche i lavoratori dello stabilimento Ilva di Novi Ligure, con la solidarietà di tutti i lavoratori delle industrie di Genova. Si manifesta contro le migliaia di esuberi previsti dal piano industriale e i rischi occupazionali per i dipendenti dello stabilimento di Cornigliano.

“Pacta servanda sunt”, è scritto sullo striscione che ha aperto le ultime manifestazioni Ilva e continua a fare da linea guida alla protesta a Genova. A Roma oggi il ministro del lavoro potrebbe già firmare il decreto che assegna la società siderurgica alla cordata Arcelor Mittal-Marcegaglia. E da qui gli operai vogliono ricordare al ministro che esiste un accordo di programma firmato nel 2005 che ha valore di legge, e che ha certificato la riconversione dello stabilimento siderurgico genovese. L’obiettivo è dare aria più pulita alla città e garanzie di occupazione e reddito per i lavoratori, in cambio della concessione di un milione di metri quadrati per cinquant’anni all’imprenditore attivo su quelle aree – allora Riva oggi la nuova cordata in arrivo.

In Prefettura sono accolti dal prefetto Fiamma Spena, dal presidente della Regione Liguria Giovanni Toti e dal sindaco Marco Doria. «L’obiettivo è chiedere tutti insieme un incontro al governo — chiarisce il segretario generale della Fiom Bruno Manganaro —. Nei due incontri che abbiamo avuto col ministro Calenda non ci sono state date risposte chiare rispetto alle prospettive di Genova, agli investimenti richiesti per rilanciare la banda stagnata, e anche e soprattutto sull’accordo di programma, che per noi non si tocca: ha valore di legge. Si tratta di un accordo firmato da cinque ministri,e se qualcuno pensa di metterlo in discussione deve ricordarsi che da quell’intesa dipendono anche le concessioni su aree e banchine».

A Cornigliano sono rimasti 1520 lavoratori dei 2700 che erano occupati al momento della chiusura dell’area a caldo nel 2005:tanti sono andati in pensione, ma finora l’accordo ha sempre retto con tanto di integrazione al reddito garantito dai lavori socialmente utili. Degli attuali 1520 al momento 380 sono in cassa integrazione, ma occupati in lavori di pubblica utilità assicurati dalle istituzioni locali tramite i fondi pubblici. Ma sono molti di più quelli che potrebbero lavorare se davvero si investisse sulla banda stagnata. «Oggi Cornigliano produce 100 mila tonnellate di banda stagnata l’anno — chiarisce Antonio Apa, segretario Uilm — mentre il mercato nazionale è di oltre 700 mila tonnellate. Con un investimento calcolato in 120 milioni di euro si potrebbe aumentare la produzione e impiegare tutti i lavoratori: ma finora non abbiamo avuto chiarimenti sul dettaglio degli investimenti, solo previsioni che di fatto portano alla riduzione complessiva della capacità produttiva di Ilva in Italia. Un elemento preoccupante, visto che alla cordata acquirente evidentemente interessa il mercato italiano più che gli stabilimenti».

«Dalla città deve uscire un messaggio chiaro — fa sapere Alessandro Vella, segretario generale Fim-Cisl —. L’accordo di programma è il punto di partenza, ma serve anche un piano industriale che dia contenuti e che sia in grado di attuare gli impegni: a partire dalla necessità, almeno per Genova, di investire sulla banda stagnata, che ci permetterebbe di dare occupazione a tutti i 380 in cassa integrazione».

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