Il valore per eccellenza: la verità dei fatti

La condanna ad Alessandro Sallusti per un articolo diffamatorio pubblicato su Libero sta alimentando una forte polemica. L'opinione di Ignazio Ingrao, caposervizio di "Panorama" e fiduciario dell’Inpgi (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani) del Lazio
Alessandro Sallusti

La condanna a 14 mesi di carcere  per Alessandro Sallusti per il reato di diffamazione e al contempo l'inviolabilità del diritto di opinione stanno interessando anche Giorgio Napolitano, capo dello Stato, e Paola Severino, ministro della Giustizia. Quest'ultima ha affermato la necessità e l’urgenza di dover trattare «con la massima serietà» la regolamentazione del «complesso rapporto tra libertà di stampa e tutela della reputazione di chi sporge querela per diffamazione». Da parte sua, il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Enzo Iacopino, dichiara che «un’intimidazione a mezzo sentenza è un’intimidazione a tutti i giornalisti». Abbiamo chiesto a Ignazio Ingrao, caposervizio di "Panorama" e fiduciario dell’Inpgi (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani) del Lazio una sua opinione sul caso.

 A che punto siamo nella riflessione sulla responsabilità dei giornalisti e sul diritto d'opinione?
«I giornalisti non sono una casta al di sopra della legge. Se sbagliano devono pagare. Tuttavia dobbiamo chiederci se il carcere sia una sanzione proporzionata ed efficace per un reato, anche grave, di opinione. Credo di no. Ci sono, a mio avviso, altri strumenti giuridici più idonei ed efficaci. Ma sono strumenti che andrebbero rafforzati e resi più incisivi con un intervento legislativo. Mi riferisco anzitutto allo strumento della rettifica: occorre una norma più cogente sull'obbligo della rettifica, come prevedeva una proposta di legge studiata dall'Ordine dei giornalisti. Il valore prioritario da perseguire è ristabilire la verità della notizia, nell'interesse del lettore, prima ancora che sanzionare il giornalista. In secondo luogo occorre riformare e rendere più efficace l'azione dell'Ordine dei giornalisti, che alcuni vorrebbero invece addirittura abolire. L'Ordine dei giornalisti ha il potere di comminare sanzioni a carico dei giornalisti che vanno dal semplice avvertimento fino alla sospensione o addirittura la radiazione dall'albo. La radiazione dall'albo che, di fatto, impedisce a un giornalista di continuare a svolgere la sua professione, è persino più efficace della minaccia del carcere. Infine la pena pecuniaria e il risarcimento del danno. Anche se, purtroppo, la leva del risarcimento economico a volte viene utilizzata come minaccia sugli organi di informazione per indurli a non affrontare determinati argomenti».

Certo che in tutta questa storia, come in altre, non si dovrebbe mai dimenticare quelli che sono i primi protagonisti, le vere vittime di situazioni limite la cui vicenda viene alla ribalta dell'informazione, che restano l’“anello debole” del processo comunicativo. Cosa ne pensa?
«L'aspetto paradossale di questa vicenda è che proprio i protagonisti più deboli, le vere vittime di tutto questo clamore mediatico, cioè la ragazza e i suoi genitori, sono rimasti privi di qualsiasi tutela, strumentalizzati da entrambe le parti. Questa vicenda è tutta focalizzata sullo scontro (utilizzato politicamente) tra il potere della stampa e il potere giudiziario. L'unico querelante è stato infatti il giudice tutelare, non i genitori della ragazza, diffamati anch'essi dall'articolo pubblicato su Libero. Nessuno sembra essersi genuinamente interessato del dramma della giovanissima donna che ha abortito».
 
Un problema che spesso si riscontra nel lavoro giornalistico è la non verifica delle fonti. Renato Farina, già radiato dall'Ordine dei giornalisti per i suoi rapporti con i servizi segreti durante il sequestro di Abu Omar, ha confessato di essere lui l'autore del pezzo incriminato e che le informazioni in suo possesso non erano corrette: il giudice infatti non aveva invitato la ragazza all'aborto, ma l'aveva autorizzata secondo la legge. Qual è la sua opinione, dove sta il nodo del problema?
«La verità dei fatti è il valore per eccellenza che deve guidare il nostro lavoro. Un valore da perseguire con tutti gli sforzi possibili per verificare le fonti e per controllare le notizie. Certo si può sempre sbagliare. I giornalisti non sono infallibili. È richiesto loro però di essere in buona fede e, se hanno commesso un errore, di rettificare. Non sempre questo avviene e spesso i fatti vengono anche piegati alle opinioni, per dimostrare una tesi precostituita o condurre una particolare campagna di stampa. Difendere la vita nascente è meritorio, ma se questo viene compiuto distorcendo la verità, criminalizzando le persone, diffamando la magistratura, anche questa battaglia rischia di perdere qualsiasi valore».
 
 

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