Il tema del lavoro sul grande schermo

Una scena del film "La mossa del pinguino"

Di lavoro si parla tanto, soprattutto della sua assenza, della sua incapacità di proteggerci. Èuno dei problemi più seri del nostro tempo, il segno più lampante della crisi strutturale in cui viviamo. La commedia italiana, tradizionalmente specchio della nostra realtà, sembra da qualche tempo non potersi più astenere dall'affrontare il doloroso tema. Non che nel passato (più o meno recente) non vi siano stati film che parlassero di lavoro. Solo nel decennio precedente a quello in corso, per esempio, se ne possono contare almeno quattro interessanti: Mobbingdi Francesca Comencini, che raccontava come l'ambiente di lavoro possa trasformarsi in un inferno, Volevo solo dormirle addosso di Eugenio Cappuccio, che portava nel cinema italiano la figura sociale del “tagliatore di teste”; Tutta la vita davanti di Paolo Virzì, che si concentrava sul crescente fenomeno dei call center e Generazione mille euro di Massimo Venier, simpatica fotografia del rapporto tra giovani e lavoro verso la fine degli anni 2000.

In tempi più recenti, però, il numero di commedie attente al tema del lavoro è aumentato, e molte vengono da autori giovani. Dal 2014 ad oggi, più o meno nell'arco di un anno, se ne possono contare almeno cinque: Smetto quando voglio di Sydney Sibilia, che parla di un gruppo di ricercatori universitari senza lavoro che si reinventano spacciatori; Noi e la Giulia di Edoardo Leo, su un manipolo di falliti che decidono di aprire un agriturismo; La mossa del pinguino di Claudio Amendola, che elogia l'invincibile voglia di sognare di chi è costretto a lavori umili e sottopagati; Scusate se esisto di Riccardo Milani, sulle difficoltà di trovare lavoro in Italia (soprattutto per le donne) e sui condizionamenti psicologici che possono nascere dalla paura di perdere il “posto”; Ho ucciso Napoleone di Giorgia Farina, che parte da un licenziamento e poi diventa una commedia nera. Tra poco anche Checco Zalone muoverà le mosse partendo dalla crisi del posto fisso perché se il suo film non ha ancora un titolo, è certo che parlerà di un impiegato pubblico in mobilità.

Come leggere, al di là dei toni e dei risultati delle singole opere tanta attenzione al grande dramma del lavoro? Di certo come la necessità di fermarsi a riflettere sulla principale fonte di ansia collettiva del presente, ma anche, visto che si parla di cinema popolare, la dimostrazione della dimensione del problema. Non solo, però. Se fino a qualche tempo fa avevano incassato molto le commediole di maschietti e femminucce in amore fragile, i film sopra citati parlano di giovani che compiono salti mortali per inventarsi un presente; raccontano le avventure di ragazzi sopra i trenta senza santi in paradiso; toccano, senza voler azzardare paragoni coi padri della commedia all'italiana (Risi, Monicelli, Scola), temi delicati con intelligente leggerezza; parlano della difficoltàdi esprimersi, di giocarsela, di poter lottare ad armi pari in una terra piagata dai clientelismi e dal degrado morale, quando non dal potere criminale. Mostrano visi malinconici e preoccupati, ma a guardare bene, ed ecco l'altro dato da cogliere in queste commedie sul lavoro (un dato positivo) anche corpi vaccinati, di gente consapevole della situazione ma non per questo rassegnata.

La voglia di inventarsi il futuro rimane, e se indietro non si torna, chissà che dal disastro non possa nascere un'organizzazione del lavoro che non produca solo ricchezza ma più felicità? In Noi e la Giulia, che non è un gran film ma porta con sé qualche segno del presente, un gruppo di delusi sui quaranta fa qualcosa di bello insieme, si aiuta reciprocamente e scopre quanto sia bello farlo. I protagonisti de La mossa del pinguino, nonostante le frustrazioni sul lavoro non rinunciano a pensare di poter fare della loro vita qualcosa di straordinario e in un impasto (anche pericoloso) di progetti e sogni, riescono a vivere intensamente un presente di risate, emozioni e relazioni umane valide.

L'agire di questi personaggi normalizza quel “diversamente realizzati” verso il quale sembriamo destinati, che passa per una lettura più articolata e intelligente della nostra vita, dove lo schema principale non può che essere la valorizzazione dei rapporti umani. Se dalla crisi senza fine e dal lavoro che non c'è riuscissimo a trarre una lezione così grande e preziosa, cioè modificare il nostro “viaggio” benedicendo quello che abbiamo, invece che lamentarci di ciò che non funziona, e se riuscissimo a organizzarci per essere felici insieme, allora questa crisi senza fine e questo lavoro che non c'è sarebbero una grande occasione, un dono preziosissimo, il più grande che potessimo ricevere. Ecco, è possibile che le recenti commedie sul lavoro, col loro malinconico ottimismo, vogliano sussurrarci nell'orecchio questo consiglio.  

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