Il sogno di Francesco

L'opzione del papa per i poveri, nelle parole e nei gesti, come per la lavanda dei piedi, giovedì prossimo, con i ragazzi dell'istituto penale di Casal del Marmo. La richiesta di preghiere
Papa Francesco

“Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”, ha esclamato Francesco parlando all’incontro con i giornalisti e operatori dei mezzi di comunicazione il 16 marzo. E’ il motivo principale per cui ha scelto il nome del santo di Assisi.

Le sue parole e  gesti nei giorni seguenti si sono svolti  coerentemente dentro questa logica: croce pettorale di ferro, anello d’argento, scarpe normali. Abbraccio inaspettato  al malato, scendendo dalla jeep durante il giro fra la folla  nella piazza San Pietro il giorno dell’inizio del ministero, raccoglitori di ferro e carta argentini come invitati speciali, annuncio che celebrerà la Messa "in Coena Domini" del giovedì santo nell'istituto penale per minori di Casal del Marmo.

Ai gesti si intrecciano le parole: “Il vero potere è il servizio e anche il Papa deve […] aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli”. Così nell’omelia della messa di inizio del suo ministero. E ai rappresentanti di diverse tradizioni religiose: “Noi possiamo fare molto per il bene di chi è più povero, di chi è debole e di chi soffre, per favorire la giustizia, per promuovere la riconciliazione, per costruire la pace”.

Una fissazione? E dove va a finire l’amore universale predicato e praticato da Gesù?

Una fissazione, sì, perché anche Gesù era un “fissato”. Ha amato tutti, ma ha avuto le sue preferenze, ben chiare. “Beati i poveri! Guai a voi, ricchi!”. “Per favore – dirà qualcuno – Gesù non era un socialista”. Molto di più, o molto semplicemente: ha amato chi non era amato. Quando è entrato nel mondo non è caduto direttamente al centro della società, dove sono i privilegiati (ricchi, potenti, uomini di successo), ma si è imbattuto con la periferia, con quelli che stanno ai margini, ributtati, esclusi: poveri, peccatori, condannati, anonimi. Quelli con i quali la società ha un debito di amore e lui l’ha pagato. Sulla croce, ma anche prima, lasciandosi toccare (alle volte addirittura schiacciare) da loro, mangiando con loro, annunciando che sono beati, che hanno un Padre.

Non ha escluso nessuno. Quelli del centro si sono autoesclusi, perché si sentivano minacciati dalle sue parole di fraternità, di uguaglianza, mentre volevano preservare i loro privilegi (sociali, politici, economici, religiosi). L’annuncio pieno di tenerezza (vi dice qualcosa questa parola?) di Gesù lo sentivano pericoloso.

Immagino che se Francesco continua a comportarsi e agire così, non troverà sempre dei consensi, sia fuori come anche dentro la Chiesa. Non sta dicendo né facendo niente di nuovo: si trova tutto nel vangelo. Ma Gesù non ha promesso rose e fiori ai suoi discepoli. Francesco lo sa: “Quando camminiamo senza la croce, quando edifichiamo senza la croce e quando confessiamo un Cristo senza croce non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore” (messa nella Cappella Sistina). E il discepoli di Cristo crocifisso fa le sue stesse scelte, ha le sue stesse preferenze.

Anche per questo – credo – Francesco chiede continuamente che si preghi per lui.

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