Il ruolo confuso delle regioni e dei cittadini

Un lettore ci scrive a proposito della partecipazione e del coacervo di leggi che dovrebbe garantirla. Invece gli amministratori locali la disattendono e chiedono soluzioni a Roma e all'Europa. Mancano decisioni coerenti
Un banchetto per la raccolta di firme

La recente consultazione elettorale diluisce asperità della precedente ma ne accentua le incertezze. La crescita delle astensioni potrebbe non essere ulteriore segno di distacco tra paese reale e paese legale o tra cittadini e politica né altro modo di manifestarsi della anti-politica. Valutazioni forse datate o mai fondate del tutto. Tutto potrebbe essere politica seria tranne quella che non produce né sollecita e/o propone politiche coerenti e realistiche, sotto il profilo settoriale e territoriale, nella direzione della coesione economica e sociale dell’intera comunità nazionale. In tal caso, quanto accennato, come datato o non efficace nel descrivere appieno un diffuso disagio, potrebbe essere segno di malessere grave, qual è quello dell’assenza della società civile come soggetto in sé, al di là dalle variegate espressioni in cui la stessa si articola. Frattura, quindi, distacco, incomprensione, sfiducia tra istituzioni e popolo, cittadini.

In precedenti riflessioni, si ritrovano spesso evidenziati due aspetti ritenuti di particolare importanza. Uno sollecita l’esistenza della buona vita organizzata, necessaria ad emarginare sempre più l’altra i cui germi patogeni s’insinuano ovunque riescono a trovare utili brodi di coltura. L’altro richiama il 1980 come anno in cui si può e si deve avviare un sano e corretto regionalismo perché, a fine 1979, le istituzioni democratiche, Stato e autonomie territoriali, dispongono degli strumenti contabili e delle norme che lo consentono.

Regionalismo da non intendere come ulteriore dotazione di una istituzione a livello territoriale, peraltro con potestà legislativa, ma inizio effettivo di un graduale rinnovamento dell’intero ordinamento italiano con definizione chiara delle funzioni dei diversi soggetti, attivazione di nuclei tecnici operativi distribuiti sul territorio costituiti da personale di enti da sopprimere. Stato, Regione e Comuni che decidono insieme e operano in sintonia, nel coordinamento della finanza pubblica e nella semplificazione al massimo di leggi, norme, regolamenti e procedure.

Quando queste ultime sono tante, davvero tante, confuse, incomplete, com’è in Italia, si corre, tra l’altro, il rischio di avere la magistratura senza alcuna certezza del diritto e senza giustizia. Così inteso, nel regionalismo le questioni non si risolvono d’incanto ma si affrontano in maniera diversa perché si riducono ad una sola: l’italiana. Nei tempi buoni si dovrebbe  stare relativamente bene, senza inaccettabili divari, non solo territoriali. In quelli difficili, ci si dovrebbe impegnare tutti per superarli. Se la coperta dovesse essere stretta, l’impegno generale dovrebbe tendere ad allargarla e lo si farebbe o rannicchiandosi sotto, operando non certo agevolmente, o tirandola da una parte o dall’altra, se necessario e deciso insieme e se la scelta fatta assicura l’ampliamento delle risorse nella quantità e nei tempi giusti. Si è, invece, fatto altro, sino ad arrivare alla confusione, con pericolo di secessione superato da quello di dissoluzione.

Legislatori nazionali mettono vino nuovo in otri vecchi, lamentandosi nel vederli scoppiare. Quelli regionali chiedono, ad Unione europea e a Roma, la partecipazione che non realizzano nel proprio territorio. Un esempio è la Puglia.  Dal 2004, anno d’approvazione dello Statuto pugliese, le forze sociali, presenti in un apposito organo consultivo secondo criteri d’effettiva rappresentatività, oltre a proposte e indirizzi, avrebbero dovuto "esprimere pareri sui documenti generali di programmazione della Regione, sulla legge finanziaria e redigere il documento di valutazione dell'efficacia, efficienza ed economicità delle azioni programmate, anche attraverso il puntuale monitoraggio dei bilanci consuntivi della Regione e degli enti, aziende ed agenzie ad essa collegate" (art. 46).

Cosi, con il Consiglio delle autonomie (art.45). Non é cosa da poco! Le consultazioni di singoli enti e forze si limitano, di fatto, a questioni di competenza diretta mentre la Conferenza permanente e il Consiglio, organi ausiliari,  richiedono e favoriscono lo sforzo di vagliare tutti il tutto per costruire compatibilità globali nell'impiego della spesa pubblica e nel processo di formazione di un quadro normativo non parcellizzato. Non averlo fatto, pone un legittimo dubbio: idee e progetti pensati, sarebbero stati gli stessi? Le posizioni assunte nei confronti di Roma e Ue? Fare questo, in tutte le Regioni, coordinando le azioni di Stato e autonomie, non é inutile né impossibile.

E' solo difficile, anche perché occorre passare da parole in libertà a decisioni coerenti e realistiche, dopo analisi comparative e discernimento tra tendenze in atto e ipotesi alternative fattibili. Ce n'è stata una parola nel programma del Governo, nelle dichiarazioni dei ministri, da politici e candidati della precedente e dell’ultima campagna elettorale? Se sì, sono gocce d’olio nella lampada della speranza. Se no, buona notte Italia e che Dio c’illumini tutti. 

Luigi Ferrara Mirenzi  – economista, esperto di politiche regionali

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons