Il piccolo ducato degli Estensi, chiuso tra Mantova, Venezia e lo Stato della Chiesa esplode con una vitalità artistica che è ancora tutta da scoprire. Dopo i pittori folli e astratti del Quattrocento come Cosmè Tura, Ercole de’ Roberti e Francesco del Cossa, ecco gente come Ortolano, Mazzolino, Garofalo e Dosso a farsi protagonista di una stagione bellissima, bizzarra anche, e creativa.
Non si parla molto di loro, tranne che per Dosso, eppure le oltre 100 opere in mostra disegnano un momento splendido che è un vero piacere contemplare. E fa capire come in Italia esistevano uno, due, cento rinascimenti grandi e piccoli.

Foto di Mario Dal Bello.
Ecco un pittore come Ludovico Mazzolino. Gli piacciono le scene furiose, aggrovigliate anche in opere di modeste dimensioni. Un soggetto composto come la Presentazione di Gesù al tempio diventa una massa di gente che indaga, legge, discute intorno al vecchio al centro e al bambino gemente, tra fregi antichi. Quando dipinge La strage degli innocenti nel 1528 Ludovico racconta un massacro furente di figure piccole di madri, carnefici, bambini in una furia che diventa un tumulto universale. Mazzolino è così, ama il moto sino al caos.
Prendiamo Giovanni Battista Benvenuti, detto Ortolano, un altro mondo. Gli piacciono le luci e le ombre forti, ma soprattutto la dolcezza, l’umanità delle sue figure. Il Compianto sul Cristo morto di Roma (Galleria Borghese, 1517) sulla riva del lago tra monti lontani, casolari, è sinceramente commosso, i personaggi sono vestiti di colori affettuosi e di delicate ombre, come il dettaglio dello stupendo volto di Cristo nel sonno di una bella morte. Certo, si sentono i veneti, Raffaello, ma lui è sé stesso, sa condire in armonia i tanti echi e trasmettere serenità.
Benvenuto Tisi, detto Garofalo, si inventa invece una Sacra Famiglia che prelude a Caravaggio nel 1530: la Vergine bionda avvicina al fuoco il piccolo per scaldarlo, il vecchio Giuseppe si è appisolato, col bastone fra le gambe. Nella chiesa di san Francesco a Ferrara poi affresca una Cattura di Cristo forse vista da Caravaggio: c’è il lanzichenecco che ci indica la scena, Giuda che corre a baciare il Cristo, Pietro chinato per uccidere un servo, fiaccole ardenti nel buio. Dramma, agitazione, realismo nel 1524. Forse l’opera più luminosa è il Cristo portacroce, due occhi miti nel volto dolcissimo che invita a seguirlo. Uno dei ritratti più emozionanti del Messia, una intimità religiosa perfetta del fedele con il suo maestro.

Foto di Mario Dal Bello.
E poi è la volta di Giovanni Luteri detto Dosso, un inventore scatenato di storie sacre e profane, di mitologie fra boschi, tramonti, prati, belle forme e tantissima luce. Si va dal comico al grottesco, dal sulfureo allo stregonesco in una corte dalle mille suggestioni. C’è il Buffone del 1510 che ci ride addosso sguaiatamente, c’è Il Poeta e la musica, cioè due amanti contemporanei, c’è il bosco autunnale dove viaggia un cavaliere tra forre dorate, e un Battista dallo sguardo stregonesco. Per non parlare della eloquente Pala di Modena con il san Sebastiano eburneo del 1521 e poi il Giovane che rovescia su di noi fiori e frutta ridendosela e due amanti che litigano furiosamente.
Il culmine è Giove che dipinge le farfalle, cioè il duca Alfonso preso dalla cultura e dall’amore per il mistero. Come Apollo che attacca il primo accordo del violino fra i nembi, Circe sensuale nella caverna. E, sorpresa finale, un Battista di anonimo, forse amico del Dosso, ma scheletrico, bruttissimo, un cadavere parlante. Ferrara, ovvero un mondo fantastico di ricercatori. Da non perdere.
Il Cinquecento a Ferrara. Palazzo dei Diamanti. Fino al 16/2.
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