Il Presidente piemontese di tutti

Nato a Novara è stato tra i padri costituenti e presidente della Repubblica. Visto dalla sua terra
Oscar Luigi Scalfaro
Un grande protagonista della storia d’ Italia, un uomo attaccato alle Istituzioni e alla democrazia. L’uomo che sapeva dire dei “no” forti e chiari. Il politico e uomo di legge che non ha mai smesso di difendere la Costituzione dai vari attacchi a cui è stata sottoposta in questi anni.  Con la morte del presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, l’Italia perde un pezzo di storia e un grande protagonista della politica del dopoguerra.

 

«Novara vede scomparire uno dei suoi figli più illustri», così ha detto il sindaco Andrea Ballarè, che ha proclamato una giornata di lutto cittadino proprio in quella Novara dove Scalfaro era nato il 9 settembre 1918 e lì aveva cominciato il suo impegno sociale e politico. Il primo incarico era stato quello di presidente diocesano, prima della Gioventù maschile e poi dell’Azione cattolica e poi ancora la lotta partigiana e la prima elezioni  come deputato alla Costituente, poi sempre stato confermato nel mandato dagli elettori nella circoscrizione di Torino-Novara-Vercelli. Giovanissimo magistrato, ha dedicato tutta la vita alla politica, nella Democrazia Cristiana. È stato parlamentare in tutte le legislature,dal ’48 al ’92, anno in cui fu nominato presidente della Camera dei Deputati, funzione che svolse un solo mese, diventando Presidente della Repubblica nel maggio di quell’anno. È stato il primo presidente della cosiddetta Seconda Repubblica.

 

Nell’interpretare il ruolo istituzionale Scalfaro, che era un uomo molto leale e che si esponeva in prima persona, mise tutta la propria forte tempra: la dimensione morale era per lui al primo posto, sempre, anche in politica. Ed erano anni difficili in piena Tangentopoli, la più grave crisi della storia repubblicana, con la pressione della mafia sugli apparati dello Stato culminata nell’assassinio di Falcone e Borsellino. Scalfaro venne eletto proprio pochi giorni dopo la strage di Capaci. Un settennato complesso, dove Scalfaro difese costantemente i valori fondanti della Repubblica contenuti nella prima parte della Carta Costituzionale, e caratterizzato soprattutto dalla lunga partita con il primo governo Berlusconi e la nascita dell’esecutivo tecnico di Lamberto Dini. Nel 1999 lasciò il Quirinale a Carlo Azeglio Ciampi e sì trasferì a Palazzo Giustiniani come senatore a vita.

 

Il suo attaccamento al territorio piemontese era noto, così come a quella scala di valori umani e cristiani a cui si era sempre ispirato: la correttezza, la coerenza, ma anche la capacità di indignarsi, senza sbavature né clamori, con la fermezza e l’autorevolezza del credente. E quell’attaccamento alla sua terra lo ha portato ad essere estremo difensore dell’unità del Paese, con un legame forte e imprescindibile – fu l’uomo dell’“io non ci sto“ – ai valori della Costituzione.  D’altra parte aveva vissuto da protagonista l’esperienza unica dell’Assemblea Costituente. E per la difesa di quella Carta costituzionale Scalfaro avrebbe fatto di tutto. Disse una volta a una marcia della pace nel cuneese: «La Costituzione è una tavola di legno, perché il legno è più vivo del marmo, ha sempre qualche cosa da dire. Se però ho una tavola di noce e colpendola con un pugno lascio il segno vuol dire che c’è un’erosione, che le tarme divorano questo legno dal di dentro. Che cosa possiamo fare? Entrare nel merito e nel dibattito, comunque sia, altrimenti ci tiriamo fuori dalla comunità di cui abbiamo l’onore di fare parte. Un atteggiamento, una parola, tutto può servire. Tutto».

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