Il popolo lotta per la libertà

Continuano le dimostrazioni contro l'accentramento di potere deciso dal presidente Morsi, che ora cerca un accordo con l'opposizione. Anche la Chiesa è al lavoro per evitare che il conflitto politico degeneri in scontro religioso
egitto proteste

Mentre giungono dal Cairo notizie ed immagini dei dimostranti che stanno convergendo ad Heliopolis e pacificamente dimostrando contro il presidente Morsi, con i blindati dell’esercito che si sono ritirati senza sparare all’interno del palazzo presidenziale, le varie forze politiche e sociali stanno compiendo sforzi per evitare scontri e la possibilità della guerra civile.

Le chiese cristiane, per esempio, non hanno preso una posizione ufficiale per quanto riguarda il referendum previsto per il 15 dicembre con il quale l’attuale presidente chiede al Paese di approvare la Costituzione preparata in tempi brevissimi che ha scatenato la rivolta popolare. 

 

In una intervista riportata da Asianews padre Greiche, portavoce della chiesa cattolica in Egitto, ha affermato che «Fino ad ora la Chiesa copta e le altre denominazioni cristiane, cattolici e protestanti, […] lasciano liberi i propri fedeli di votare 'si' o 'no' oppure di boicottare il referendum costituzionale del 15 dicembre». Inoltre, il portavoce ha sottolineato che «il rischio di attacchi contro chiese ed edifici religiosi non è una novità nel nostro Paese. Nei periodi di tensione come quello che stiamo attraversando l'allerta per possibili attacchi cresce, ma le voci che parlano di bombe o violenze contro i cristiani sono a tutt'oggi infondate». Un atteggiamento di questo tipo è, senza dubbio, un antidoto ad una escalation di tensioni preludio per altre violenze.

 

Infatti, in questi giorni, i Fratelli Musulmani hanno diffuso accuse ed informazioni false che tendono a gettare sui cristiani la responsabilità delle manifestazioni organizzate davanti al palazzo presidenziale, dove sono morte sei persone e varie centinaia sono rimaste ferite. Il pericolo è che un conflitto politico degeneri in scontro religioso. Questo non significa che i cristiani non abbiano preso parte alle manifestazioni. «Vi erano molti cristiani – precisa padre Greiche – ma nessuno di loro ha tentato di prenderne il controllo o è stato incoraggiato dai propri leader a partecipare. Ognuno ha deciso di scendere in strada senza costrizioni e in modo libero. Il quartiere di Heliopolis, sede della presidenza, è circondato da oltre 15 chiese e si trova in una zona della capitale con un'alta densità di cristiani e musulmani moderati».

 

Come accennato, le dimostrazioni continuano, fortunatamente in modo pacifico, anche dopo il discorso del presidente che, rivolgendosi alla popolazione, ha dichiarato di essere pronto al dialogo, pur senza rinunciare per ora al referendum. Cresce, comunque, la protesta ed i giovani dei movimenti democratici hanno organizzato dimostrazioni e cortei in tutte le principali città egiziane.

 

Come leggere quanto sta avvenendo in Egitto in questi ultimi giorni? È, senza dubbio, una situazione complessa ed in costante divenire, ma, come ha dichiarato, nel corso di una intervista rilasciata a Oasis ‘Azzâzî ‘Alî ‘Azzâzî, professore universitario, già governatore del distretto di ash-Sharqiyya, dirigente della Corrente Popolare, «si tratta di un’occupazione quotidiana da parte di diverse migliaia di manifestanti e rivoluzionari che rappresentano tutte le correnti dell’azione politica in Egitto, con l’eccezione naturalmente dei Fratelli e delle formazioni dell’Islam politico. Ma il valore di quanto sta succedendo oggi ed è successo ieri con la manifestazione di un milione di persone è che gli egiziani hanno recuperato lo spirito della rivoluzione di gennaio, con tutta la volontà di opporsi e sfidare il metodo autoritario e autoreferenziale con cui i Fratelli musulmani guidano l’Egitto». 

 

Il Prof. ‘Azzâzî ‘Alî ‘Azzâzî è convinto che anche il regime di Morsi abbia le ore contate. «Siamo di fronte a un epilogo, non a un prologo. Il grande popolo egiziano si è reso conto degli errori commessi nella rivoluzione di gennaio quando ha lasciato la piazza consegnando i frutti della rivoluzione nelle mani dell’organizzazione più abile a manovrare e più capace a stringere alleanze dentro e fuori l’Egitto».

 

In effetti, pare proprio che, nonostante questi due anni tutt’altro che facili, «la partecipazione popolare in Egitto è cresciuta. La volontà degli egiziani, come popolo, di partecipare al processo di decisione politica è diventato il motore quotidiano della rivolta». In effetti, non si tratta più di una rivoluzione del pane, per assicurare alla gente il minimo indispensabile per vivere, ma è «La questione della libertà [che ormai] occupa il primo piano in Egitto».

(Nella foto Ap l'assedio dei manifestanti al perimetro esterno della residenza del presidente Morsi, protetta dai carri armati)

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