Il Pittore di Micali

Accompagnò, con i suoi vasi dipinti, il tragitto dell’uomo verso la sua destinazione ultraterrena
pittore micali vaso

Parliamo stavolta di un artista vissuto circa 25 secoli fa, un etrusco: il cosiddetto Pittore di Micali, il quale visse e operò a Vulci intorno alla seconda metà del VI secolo a.C. e fu il più fecondo tra i pittori vascolari etruschi: circa duecento, infatti, sono i vasi a figure nere attribuiti alla sua mano, ora sparsi in vari musei, ma di cui un nucleo si può ammirare nelle sale del museo romano di Villa Giulia.

 

Fino a epoca recente, della produzione pittorica etrusca veniva presa in considerazione soprattutto la grande pittura funeraria (basti pensare ai celebri affreschi delle tombe di Tarquinia), mentre quella vascolare, vista come una imitazione della raffinatissima produzione attica dilagante in Etruria anche ad opera di maestranze greco- orientali trapiantatesi sul nostro suolo, era giudicata sostanzialmente priva di originalità.  Oggi invece le è stato riconosciuto un suo proprio valore, caratterizzato da una fresca vena narrativa nel trattare piacevolmente i miti e le saghe consueti del mondo greco. È quanto si nota appunto nel Pittore di  Micali, esponente non eccelso, ma di spicco, del passaggio tra tardo arcaico e prima classicità, il quale godette di straordinaria fortuna e riuscì a non essere mai noioso. In lui, lo spazio esiguo offerto dalla superficie tonda di un’anfora o di un’idria, è sempre animato da un’esuberanza di movimento e di gesti, e soprattutto da espressioni improntate a gioia e intimo gusto per la vita, che rendono simpatiche le opere di questo pittore.

I suoi vasi erano destinati nella quasi totalità ad accompagnare il defunto nella sua estrema dimora, e quindi ad essergli di ristoro nell’al di là. Questa loro funzione ci aiuta a penetrare il significato di certe scene, oltre il puro godimento visivo che esse procurano. La prima cosa che salta agli occhi è che soggetti prediletti del pittore sono tutto un corteo fantastico di creature ibride, a metà strada tra l’uomo e l’animale: sirene, centauri, satiri, sfingi, ecc. Probabilmente, nel contesto funerario, questi esseri di “transizione” suggerivano l’idea di un passaggio tra la condizione dei vivi e quella dei morti: sarebbero, in sostanza, il mezzo con cui l’artista cercava di rendere pittoricamente un mondo soprannaturale.

E che dire poi di alcuni animali dotati di un numero esagerato di capezzoli? Anch’essi, con l’immediato richiamo all’alimentazione, alla vita, sembrano alludere all’esistenza ultraterrena, vista come rinascita, quasi come un ritorno alla fanciullezza.

 

La mostra, allargando il discorso alla cultura artistica vulcente di età arcaica, fornisce un quadro sintetico ma al tempo stesso ricco di riflessioni interessanti, che aiutano a collocare in un ambito storico-culturale più preciso il nostro ceramografo. Essa, inoltre, è anche omaggio a sir John D. Beazley, l’illustre studioso di ceramica antica grazie al cui metodo attributivo – derivato da quello di Morelli e di Berenson – è stato possibile ricostruire la personalità dell’anonimo ma simpatico Pittore di Micali, consentendoci, almeno un po’, di entrare in sintonia col suo mondo.

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