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Il giubileo dei giovani, per una proposta radicale di amore

di Vittoria Terenzi

- Fonte: Città Nuova

Intervista a don Davide Imeneo, direttore dell’Ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali di Reggio Calabria-Bova, che accompagnerà a Roma 210 ragazzi

Don Davide Imeneo, foto di Antonia Messineo

Mancano pochi giorni all’inizio del giubileo dei giovani che riunirà a Roma migliaia di ragazzi e ragazze da ogni parte del mondo dal 28 luglio al 3 agosto. Nella Capitale fervono gli ultimi preparativi per questo straordinario appuntamento di fede, gioia e condivisione, mentre i giovani “pellegrini di speranza” si preparano a partire.

Abbiamo intervistato don Davide Imeneo, direttore di Avvenire di Calabria e dell’Ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali di Reggio Calabria-Bova, che accompagnerà a Roma un gruppo di circa 210 ragazzi provenienti da quindici parrocchie della sua Arcidiocesi.

Lei ha promosso il Laboratorio «Aula G» per educare i giovani a un uso pienamente umano dell’Intelligenza Artificiale. Quali sfide sono emerse e quali frutti ha già raccolto?
La sfida principale è aiutare i ragazzi a riconoscere l’AI come strumento e non come fine. Serve competenza critica per dialogare con gli algoritmi senza delegare loro il giudizio; serve attenzione alla dignità della persona, perché la macchina non conosce gratuità né amore; e serve consapevolezza sui dati, cioè su privacy, proprietà intellettuale e distorsioni dei modelli. I frutti sono incoraggianti: un linguaggio nuovo, capace di coniugare fede, arte e attualità con la tecnologia, e diversi progetti concreti — AppGpt, micro-video, infografiche — che raccontano storie di bene del nostro territorio. Soprattutto è nata una piccola comunità in cui competenza tecnica e sensibilità spirituale si sostengono a vicenda.

In che modo, più in generale, possiamo aiutare i giovani a orientarsi tra le sfide etiche di oggi?
Credo sia decisivo partire dall’ascolto: le domande esistenziali vanno accolte prima di proporre risposte. Poi serve una formazione integrale che unisca dottrina sociale, alfabetizzazione digitale e testimonianze di vita concreta… la teoria da sola non scalda il cuore. Infine, l’esperienza di servizio: quando un giovane vede che il proprio talento fa bene a qualcuno, la scelta interiore smette di essere un imperativo astratto e diventa responsabilità gioiosa.

Che cosa si aspetta questo gruppo diocesano dal Giubileo e che cosa rivede, in loro, della sua stessa vocazione?
Negli occhi di questi ragazzi che si stanno preparando al Giubileo leggo un grande desiderio di incontro: con Cristo, con il papa, con coetanei che credono nello stesso Dio e negli stessi valori. Portano domande serie sul senso della vita e su come mettersi a servizio… si, mi rivedo in loro: anche per me, da adolescente al primo anno di liceo, la veglia di Tor Vergata nel 2000 fu un “kairos”, un momento decisivo di ascolto della voce di Dio. Spero che Roma, ora, diventi per loro quello che fu per me… la scoperta di una Chiesa giovane e universale che dà coraggio di scegliere.

Giovanni Paolo II, nel 2000, parlò di scelte esigenti e di chiamata alla santità. Oggi sembra più difficile per un giovane incontrare l’amore di Dio. È davvero così? Perché?
Il contesto è cambiato: la nostra è una società frenetica, dove il rumore di fondo delle notifiche e la logica della prestazione (e a volte anche della competizione) rendono difficile il silenzio interiore. A ciò si aggiunge un certo individualismo che fa apparire sospetta ogni proposta di comunità, e le ferite provocate da incoerenze degli adulti o da famiglie fragili. Eppure non ho perso la speranza: quando un giovane incontra testimoni credibili — laici, consacrati, sposi — che vivono la santità come pienezza di umanità, l’amore di Dio smette di essere un’idea e diventa vita concreta. Il segreto resta quello indicato dal papa santo: dare fiducia ai giovani e chiedere loro tutto, perché solo l’amore radicale riempie il cuore.

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