L’empatia può essere definita come la capacità di comprendere una persona dalla sua prospettiva anziché dalla propria, di “mettersi nei panni dell’altro”, di fare esperienza indiretta delle sue emozioni, percezioni, pensieri o comportamenti. È quindi una qualità umana che svolge un ruolo fondamentale nella vita quotidiana, poiché non solo migliora le relazioni interpersonali, ma può anche avere un impatto notevole sulla salute e il benessere. Allo stesso tempo si è dimostrato come l’empatia sia un fattore fondamentale anche nella relazione fra medico e paziente.
Lo psicologo americano e fondatore dell’approccio centrato sulla persona, Carl Rogers, ha affermato che l’empatia “è una condizione necessaria per i terapeuti che cercano di aiutare gli altri”. La capacità del medico di comprendere e immedesimarsi nello stato emotivo vissuto dal paziente aiuta senza dubbio quest’ultimo a ridurre la sensazione di dolore.
L’importanza dell’empatia diventa ancora più sorprendente nella terapia del dolore, poiché il dolore cronico è noto per il modo in cui può compromettere un individuo, lasciandolo isolato e sentendosi frainteso. Secondo la definizione fornita dall’International Association for the Study of Pain (IASP), il dolore rappresenta “un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata o simile a quella associata a un danno tissutale effettivo o potenziale”.
Gli operatori sanitari non potranno mai entrare completamente nel mondo percettivo e affettivo del paziente. Tuttavia, l’empatia può fornire loro “la sensazione di conoscere l’esperienza personale di un’altra persona con dimensioni cognitive, affettive e comportamentali”. È quindi possibile creare una connessione interpersonale con il paziente, adottando un approccio non minaccioso e non giudicante.
Recenti ricerche nel campo delle neuroscienze cognitive hanno fatto luce sui circuiti neurali attivati durante le risposte empatiche al dolore. Un segno distintivo dell’empatia per il dolore è stata la scoperta dei neuroni specchio nei macachi negli anni ’90. Gruppi di cellule (neuroni) nella corteccia premotoria si attivavano non solo quando la scimmia eseguiva un’azione, ma anche quando vedeva eseguita la stessa azione. Questa scoperta dei neuroni specchio è servita da finestra sulle basi neurobiologiche dell’empatia e ha stimolato la ricerca nella neurofisiologia dell’empatia per il dolore.
Gli studi di neuroimaging sull’empatia per il dolore hanno costantemente rivelato attivazioni nello stesso circuito neurale quando si sperimenta direttamente il dolore così come quando si empatizza con il dolore degli altri. Questa rete neurale – la cosiddetta matrice del dolore – comprende l’insula anteriore, la corteccia cingolata anteriore dorsale, la corteccia cingolata mediale anteriore, il grigio periacqueduttale, la corteccia somatosensoriale, la corteccia orbitofrontale e l’amigdala. Questi risultati suggeriscono che l’empatia dipende, in parte, da rappresentazioni neurali condivise per il proprio dolore e per il dolore degli altri e che avere a che fare con persone che soffrono provoca una sorta di risposta di “mimetismo empatico” nell’osservatore. Il funzionamento di questi neuroni specchio è un prerequisito essenziale per la percezione empatica del dolore dell’altro.
La nostra capacità di entrare in risonanza emotiva con un’altra persona è infatti un aspetto fondamentale dell’interazione sociale. Questo è il caso quando si percepisce qualcuno che soffre. La comunicazione del dolore può suscitare comportamenti prosociali come la preoccupazione empatica (motivazione a prendersi cura di qualcuno bisognoso) nei confronti della persona che soffre. Questo è riconosciuto come una risposta empatica o empatia del dolore. La pratica dell’empatia è spesso gravemente minacciata nella cultura medica odierna caratterizzata dall’isolamento tecnico del medico dal paziente. Spesso viene sottovalutato il porre ai pazienti domande sui sintomi, sulle loro possibili paure e sullo stress mentale correlato, invece vanno presi seriamente in considerazione tutti questi aspetti.
Da una recente ricerca è emerso che i pazienti che si trovavano in solitudine durante l’esposizione a stimoli dolorosi riportavano un maggiore livello di dolore rispetto a quelli che erano accompagnati da un medico, nonostante fossero esposti a stimoli di uguale intensità. Questo studio ha sottolineato l’importanza di un atteggiamento empatico e di una buona comunicazione da parte del medico nei confronti del paziente per il successo di qualsiasi terapia. Chiaramente la comunicazione empatica non può sostituire il trattamento farmacologico, ma può integrarlo e potenziarlo.
Anche se non priva di sfide per il medico, il paziente e il sistema sanitario, nel complesso, l’empatia è quindi uno strumento straordinario nella pratica clinica, in particolare nella terapia del dolore, perché mira a creare una solida alleanza terapeutica tra medico e paziente, con l’obiettivo di ridurre la percezione del dolore, migliorare le aspettative di guarigione e, di conseguenza, aumentare l’efficacia del trattamento farmacologico.