Il diritto di amare

Qualche giorno fa ho accompagnato un amico in un campo profughi del nord del Libano. Conosceva un volontario straniero che ci vive in una tenda, condividendo in tutto e per tutto le condizioni di vita estremamente precarie degli sfollati
Libano foto Onu

Non mi sarei mai aspettato una tale accoglienza. Le due famiglie che abbiamo visitato con questo volontario ci hanno ricevuto come se fossimo stati dei parenti stretti, e abbiamo passato con loro dei momenti indimenticabili. Non so come, ma pur nella loro povertà sono riusciti a prepararci un pasto sontuoso in cui non mancava nulla. Ma ciò che è stato più toccante, e ci ha fatto venire le lacrime agli occhi, è stata la profondità della nostra condivisione.

 

Delle persone che avevano perso tutto, anche dei loro cari, ne parlavano tuttavia con una grande dignità, senza lamentarsi né mostrare odio verso coloro che erano la causa di tutti i loro dolori. Persone che, nonostante tutto, conservavano la speranza nel cuore, e che almeno tra loro avevano una relazione meravigliosa, piena di attenzioni delicate: forse, in fondo, l’unico tesoro che era loro rimasto.

Sulla via del ritorno, non so perché, ho tenuto a dire al mio amico che questa visita era stata molto bella, ma che avevamo nondimeno corso dei rischi nell’andare in una zona nota per essere particolarmente «sensibile». E lì il mio amico ha reagito male, l’ho visto di colpo molto triste. Ho capito di aver rovinato tutto, parlando come se anche lui non avesse ben saputo che quella zona era pericolosa. E allora? Il rischio che avevamo corso era ben poca cosa davanti alla gioia che avevamo dato a questi fratelli e sorelle nel dolore, che non volevano più lasciarci partire e che alla fine ci abbracciavano come se fossimo stati membri della famiglia, mentre prima di quel giorno non ci eravamo mai incontrati.

 

Per me è stata una grande lezione di vita che non smetto di meditare ogni giorno. Ho capito che avevo in qualche modo tarpato le ali al mio amico. Lui voleva di cuore donare parte della sua vita a quelle persone, io volevo impedirglielo. E da allora mi sono messo a rivedere tutti gli episodi della mia vita in cui amici con buone intenzioni, o parenti, avevano fatto di tutto per impedirmi di amare dicendo di parlo per proteggermi.

 

Abbiamo una vita sola e, invece di donarla con tutto il nostro cuore, perché serva almeno a qualcosa, la seppelliamo per non correre rischi. E la nostra vita langue nella sua prigione senza dare frutti. Abbiamo le ali per volare, ma ci spingiamo l’un l’altro a rimanere al sicuro nella gabbia che noi stessi ci siamo costruiti. Siamo nati per amare, ne abbiamo il diritto, e lo neghiamo non solo alle persone che ci sono estranee ma anche a quelle più vicine, con il pretesto di proteggerle. Confondiamo la pace con il senso di sicurezza.

 

Non penso che il diritto di amare sia inserito nella lista ufficiale dei diritti dell’uomo, come quello al cibo o all’educazione, perché amare è indubbiamente un concetto troppo vago, troppo difficile da discernere. E nonostante ciò deve diventare il primo dei nostri diritti, per dare un senso alla nostra vita. Perché, il giorno della nostra morte, non ci sia sorpresa davanti al fatto che non c’è bisogno di seppellirci, essendo noi sotto terra già da tempo.

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