Il Cyrano di Preziosi chiede amore

Intervista all'attore italiano che si sperimenta anche regista e con il celebre personaggio di Rostand mette in scena la voglia di sacro e di libertà degli uomini d'oggi.
Cyrano de Bergerac di Alessandro Preziosi

Alessandro Preziosi, uno degli attori più amati dal pubblico italiano, ha da pochi mesi assunto la direzione artistica del Teatro Stabile d’Abruzzo e termina la sua lunga tournée italiana proprio nel capoluogo abruzzese il 26 e 27 aprile 2012, più che mai convinto che l’Abruzzo abbia bisogno di arte e di arte teatrale, ancor più oggi in cui anche gli edifici sono crollati. «È necessario – dice – organizzare iniziative artistiche nella città, anche a cielo aperto, e poter incontrare i cittadini, i giovani, e offrire loro il soffio vitale della vera creazione artistica di cui il teatro è ricco».
 
Porterà agli abruzzesi l’ultima sua produzione, il Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand, che lo ha visto impegnato in questi mesi in tutti i teatri italiani da protagonista e come regista.
 
Perché questa scelta classica, oggi?
«Perché non sono stati più scritti testi che hanno la stessa forza prorompente e drammaturgica, la stessa freschezza che ha il Cyrano. E questo penso valga un po’ per tutti i classici. Trovo che la caratteristica del meccanismo drammaturgico del Cyrano sia la grande umanità del personaggio e della storia che viene raccontata. Forse negli anni è stata troppo concettualizzata, a volte resa troppo semplicemente. Ho cercato come regista di far emergere soprattutto la grande forza umana dei personaggi e del protagonista».
 
Ogni uomo cerca il suo Dio. Qual è il Dio del personaggio Cyrano?
«Credo che Cyrano abbia un suo Dio, un Dio legato spesso al contrappunto di chi tra gli uomini non è riuscito a trovare qualcuno di cui venerare le caratteristiche. Cyrano esplicita la sua venerazione per il Don Chisciotte, e a livello interiore egli contrappone situazioni, toni e personaggi nel tentativo di armonizzarli. A bel rifletterci il Dio di Cyrano è il Dio della dignità, della fierezza».
 
Ma Cyrano è anche colui che dona il suo amore gratuitamente. “Gratuitamente”, una parola che sembra essere scomparsa in giorni come i nostri in cui prevale spesso l’affare, la corsa ad avere più che a dare.
«È vero, l’amore che Cyrano dà gratuitamente non prevede neanche la possibilità di essere contraccambiato. Un amore che colora ogni sua situazione esistenziale: la messa in atto di un sotterfugio, il meccanismo della sostituzione affidando ad altri la parola – Cyrano è una figura molto complessa –, un amore assoluto tanto che qualcuno ha anche supposto che non sia vero. Un amore che fino all’ultimo viene taciuto all’amata, e Cyrano, attraverso la poesia, prende le distanze dalla realtà, la distanza da quella possibilità di vivere un amore secondo modalità normali… Forse il Dio di Cyrano è questo amore assoluto e “impossibile”».
 
Una sorta di provocazione quindi questo tuo Cyrano. Una provocazione in un tempo in cui sembra prevalere il “dio usa e consuma”?
«Nonostante tutto, oggi più che mai c’è un grande bisogno d’amore, amore dato e ricevuto. Purtroppo i tempi in cui questo amore viene vissuto, consumato e liquidato sono molto rapidi. L’amore come sentimento e passione credo non manchi oggi come ieri. Manca la progettualità dell’amore, di un amore assoluto, manca l’amore fatto di sentimenti eterni e non solo di parole. Pensiamo che Cyrano per 14 anni continua a visitare la donna amata senza dirle che l’ama. Questo tipo di amore certamente manca oggi nella nostra società. Il romanzo di Rostand è epico-sentimentale, e in esso i sentimenti raggiungono un livello altissimo di epicità. Nel contesto di oggi l’uomo possiede gli strumenti, la libertà, la dignità per vivere un amore così?».
 
Sono stato colpito dalla visionarietà della tua regia, dalle scenografie geometriche e multispaziali, della composizione sfolgorante della dimensione fantastica con la realtà dalle mille sfaccettature, dalla forza espressiva del personaggio che dona alla platea il suo dolore, ma anche la sua ardimentosa libertà. Ci sono state difficoltà in questa direzione della messa in scena del Cyrano?
«La parola direzione non è la più adatta a definire la regia di questo spettacolo, in quanto c’è stata una direzione artistica a stampo collaborativo e corale, con Tommaso Mattei che ha tradotto e adattato il testo, con i movimenti scenici di Nikolaj Karpov, con il costumista, con i giovai attori. La difficoltà è nata nell’allestimento di un progetto che nasceva da zero, in quanto non ci siamo rifatti alle precedenti rappresentazioni: come scegliere e creare i costumi, le scenografie, gli attori giusti. Come pure non è stato facile portare in scena un Cyrano senza naso, un Cyrano in prosa e in versi, un Cyrano che al posto della spada usa la parola. La direzione drammaturgia è stata invece quella più facile nel senso che la facilità veniva dalla passione. Se hai passione per il teatro questa ti permette di alimentare ogni scelta, ogni momento e non smetti neanche a spettacolo finito. È stata la grande passione per il teatro che ci ha permesso di raggiungere e conquistare il pubblico di tante città italiane e che si attualizza oggi all’Aquila, per aprire subito dopo una nuova stagione».
 

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