«Collaboriamo perché se siamo uniti tutto è possibile. Facciamo in modo che nulla ci divida». Con queste parole Leone XIV ha concluso l’Udienza Generale del 29 ottobre, dedicata interamente al ricordo del 60˚ anniversario della pubblicazione del documento conciliare Nostra Aetate, di cui abbiamo parlato qualche giorno fa. Parole semplici quelle del pontefice americano che rispondono con autorevolezza e convinzione ai vari proclami elettorali che negli ultimi anni, un po’ a tutte le latitudini, tendono a dividere più che a unire. “Collaboriamo” e se “siamo uniti”, due cifre fondamentali e alternative alla prepotenza – a volte tracotanza – degli slogan che invadono quotidianamente i nostri media.
Vale la pena rileggere questo invito di Prevost esteso ai leader delle diverse religioni, convenuti in piazza San Pietro per celebrare un minuscolo – rispetto agli altri – documento conciliare, che pareva essere il più innocuo delle carte promulgate da quell’assise della Chiesa cattolica che oggi – dopo sei decenni – molti definiscono profetico, e che l’attuale papa ha significativamente caratterizzato come luminoso. La novità delle quattro pagine di Nostra Aetate, infatti, è stata proprio quella di accendere una luce all’interno della Chiesa cattolica perché i suoi membri e seguaci potessero rendersi conto di quanto, come cristiani, ci si era dimenticati: il fatto che l’umanità è un’unica famiglia, che cerca risposte a quesiti esistenziali ai quali le religioni offrono risposte.
Ma, soprattutto, come Leone XIV aveva espresso ai leader religiosi radunati in una udienza specifica nell’Aula Paolo VI la sera precedente, quelle pagine hanno sottolineato come la Chiesa cattolica «non rifiuta nulla di ciò che è vero e santo» nelle diverse tradizioni religiose e per questo invita i suoi membri con prudenza ma anche con coraggio a impegnarsi sulla strada del dialogo. E, riconosce il papa, «questo documento storico ci ha aperto gli occhi su un principio semplice ma profondo: il dialogo non è una tattica o uno strumento, ma un modo di vivere».
Il papa americano ha tenuto a precisare la centralità dell’ebraismo sia nella genesi che nella formulazione di Nostra Aetate, che in effetti era nata proprio per ridefinire il rapporto con il mondo ebraico, come contributo per evitare che si possano ripetere tragedie immani come la Shoà. Significativo, a questo proposito, nell’attuale situazione geopolitica del mondo, il chiaro richiamo a contrapporsi all’antisemitismo: «Anch’io confermo – ha affermato con forza Leone XIV – che la Chiesa non tollera l’antisemitismo e lo combatte, a motivo del Vangelo stesso».
Il documento, riconosce il pontefice, insegna a incontrare tutti i seguaci di altre tradizioni «non come estranei, ma come compagni di viaggio sulla via della Verità; a onorare le differenze affermando la nostra comune umanità; e a discernere, in ogni ricerca religiosa sincera, un riflesso dell’unico Mistero divino che abbraccia tutta la creazione». Si tratta di una sintesi efficace con la quale l’attuale successore di Pietro si colloca in diretta continuità con i suoi predecessori che avevano evocato via via aspetti specifici dell’impegno al dialogo. Paolo VI e soprattutto Giovanni Paolo II, in tempi di Guerra Fredda, avevano tracciato la via del dialogo verso un impegno comune alla pace. Benedetto XVI, che per tutta la vita aveva approfondito il senso della fede nella cultura moderna e post-moderna, aveva inserito nella scelta del dialogo anche il comune pellegrinaggio verso la Verità. E, infine, Francesco non si è mai stancato di testimoniare e incoraggiare a costruire la cultura del dialogo, come risposta a una crescente “cultura dello scarto e dell’odio”.
Prevost, oltre alla pace, alla verità e all’impegno comune per la giustizia e la dignità di ogni essere umano, inserisce la necessità di agire per uno «sviluppo responsabile dell’Intelligenza Artificiale». Infatti, specifica, «le nostre tradizioni hanno un immenso contributo da dare per l’umanizzazione della tecnica e quindi per ispirare la sua regolazione, a protezione dei diritti umani fondamentali». È su questa linea, che allarga l’orizzonte delle collaborazioni possibili, che Prevost attualizza la profezia di Nostra Aetate all’attuale situazione geopolitica e socio-culturale, senza mai tradire il contenuto spirituale e religioso. Chiaro il suo monito a tutti i rappresentanti delle diverse tradizioni a «essere vigilanti contro l’abuso del nome di Dio, della religione e dello stesso dialogo», oltre ovviamente ai vari tipi di fondamentalismi crescenti in ogni cultura e fede.
Infine, come leader religiosi, Leone XIV ricorda la necessità di «guidare i nostri popoli a diventare profeti del nostro tempo». È una responsabilità che viene definita “sacra”, quella di contribuire ad aiutare i seguaci delle diverse tradizioni a «liberarsi dalle catene del pregiudizio, dell’ira, dell’odio, a elevarsi al di sopra dell’egoismo e dell’autoreferenzialità». È dunque chiaro che il pellegrinaggio del dialogo continua sui fronti già noti e su nuove frontiere, impegno «sacro per tutta l’umanità» perché aiuta a mantenere viva la speranza proprio nell’Anno del Giubileo intitolato ad essa.