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Ambiente > Ambiente e tecnologia

Il consumo abnorme di energia per l’IA

di Pasquale Pellegrini

- Fonte: Città Nuova

Pasquale Pellegrini

Consumi elettrici in crescita, emissioni record e carenza d’acqua: il progresso tecnologico corre più veloce della sostenibilità, mentre il mondo conta già oltre 8 mila data center attivi

Un vortice di luce che evoca l’energia e la complessità dei sistemi di intelligenza artificiale. Foto di Chandana Sharma, da Unsplash.

Occorre andare con i piedi di piombo: non tutto ciò che luccica è oro nell’intelligenza artificiale (IA). Si comprende l’entusiasmo per la novità, ma dietro l’angolo si nascondono anche criticità, in particolare di natura ambientale. Per fare business, le grandi multinazionali del web alimentano gli entusiasmi, spesso minimizzando gli effetti collaterali. La questione non può essere sottovalutata né affrontata in modo ideologico: non si tratta di una battaglia pro o contro l’IA, ma di contemperare progresso e sostenibilità ambientale, considerando che l’IA è ormai protagonista della nostra vita.

«Se fino al 2024 i chatbot erano considerati strumenti più che altro creativi con cui scherzare e da cui farsi ispirare per nuove idee e nuovi interessi – scrive sul settimanale Sette Michele Rovelli –, negli ultimi mesi le abitudini stanno virando verso altre attività. Organizzano, riassumono, pianificano: la sfera dell’intrattenimento c’è, ma diventa secondaria». Il settore è in forte crescita: nel 2027 potrebbe raggiungere i 990 miliardi di dollari, con nuovi consumi di energia elettrica e materie prime, aspetti di cui occorre tenere conto.

Il rapporto Chipping Point. Tracking Electricity Consumption and Emissions from AI Chip Manufacturing di Greenpeace ha stimato l’evoluzione della domanda energetica per la produzione dei microprocessori utilizzati nell’IA. Secondo il rapporto, «il fabbisogno energetico è aumentato significativamente da 218 GWh nel 2023 a 983,9 GWh nel 2024, con un incremento del 351%». Se il trend non cambiasse, nel 2030 la domanda di energia potrebbe essere 170 volte quella del 2023. Poiché le principali nazioni produttrici di chip – Taiwan, Corea del Sud e Giappone – utilizzano ancora in prevalenza combustibili fossili, le emissioni di gas serra sarebbero imponenti: fino a 16 milioni di tonnellate equivalenti di CO₂ nel 2030 (erano 99.200 nel 2023 e 453.600 nel 2024).

La produzione di microprocessori è solo una parte dei consumi energetici, non la maggiore. Il grosso deriva dall’addestramento dei modelli di IA, dal loro utilizzo e dal funzionamento dei data center. Addestrare un modello di IA significa “insegnargli” a elaborare enormi quantità di dati per generare risposte pertinenti. Per addestrare GPT-3 (un modello di intelligenza artificiale generativa sviluppato da OpenAI) sono stati consumati 1.287 megawattora, pari all’energia utilizzata da 130 abitazioni americane in un anno. Ora è in funzione GPT-4, ancora più complesso e dispendioso.

L’IA è ormai integrata nei motori di ricerca e nei social network: Google utilizza AI Overview, Microsoft e Meta hanno sviluppato proprie piattaforme. Il settore è in espansione e l’uso crescente da parte degli utenti comporta un aggravio dei consumi energetici. Il Politecnico di Milano stima che l’80-90% dei consumi sia dovuto all’inferenza, cioè all’utilizzo quotidiano dei modelli. Anche Google, in uno studio pubblicato da Alex de Vries su Joule − rivista scientifica internazionale − nell’ottobre 2023 (The Growing Energy Footprint of Artificial Intelligence), conferma che il 60% del consumo energetico dell’IA tra il 2019 e il 2021 deriva dall’inferenza. Una domanda posta a ChatGPT consuma 2,9 wattora, contro gli 0,3 di una ricerca tradizionale: un rapporto di 10 a 1. Con circa 9 miliardi di interrogazioni giornaliere, il consumo complessivo risulta enorme.

I modelli di IA non possono essere installati su dispositivi personali, ma risiedono nei data center, infrastrutture capaci di memorizzare quantità di dati dell’ordine degli zettabyte (trilioni di gigabyte). Si stima che nel mondo esistano 8-9 mila data center, concentrati soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Europa (16% del totale, tra Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Dublino). Anche l’Italia ne ospita alcuni.

Queste infrastrutture consumano enormi quantità di energia e necessitano di sistemi di raffreddamento potenti. Nel 2024 hanno rappresentato l’1,5% del consumo mondiale di elettricità e, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), nel 2030 potrebbero arrivare a 950 terawattora, pari all’attuale consumo del Giappone. Le emissioni di CO₂ associate ammontano oggi a 180 milioni di tonnellate (0,5% delle globali) e potrebbero raddoppiare entro il 2030. Inoltre, i data center richiedono grandi quantità di acqua dolce per il raffreddamento: si stima che ChatGPT, per inviare una mail di 100 parole, utilizzi circa mezzo litro d’acqua. Nelle regioni con stress idrico, questo rappresenta un problema serio.

L’impronta ecologica dell’IA è dunque preoccupante. Le multinazionali cercano di mitigare l’impatto acquistando crediti di carbonio o certificati di energia rinnovabile, ma, come sottolinea Edoardo Crivellaro della Luiss University, «soddisfare il 100% della domanda annuale con certificati non significa che i singoli data center siano alimentati esclusivamente da fonti rinnovabili».
Per quanto riguarda l’acqua, la situazione è ancora più complessa: il prelievo diretto può compromettere le risorse locali, portando al declino dei territori che ospitano queste infrastrutture. Non mancano, infatti, proteste.

Per essere davvero un bene comune, l’IA ha bisogno di una valutazione politica ed etica profonda, che coinvolga Stati, istituzioni e opinione pubblica. Solo una regolamentazione più incisiva potrà bilanciare innovazione, giustizia ambientale e tutela collettiva.

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