La nomina di Beatrice Venezi a direttore musicale del Gran Teatro La Fenice di Venezia ha suscitato un lungo dibattito che coinvolge interi organici orchestrali ed esponenti del mondo della musica, ma anche moltissime persone che non si occupano abitualmente di musica ed esprimono giudizi categorici con un approccio spesso non adeguato ai fatti e alle cose. Il direttore artistico di un ente lirico, innanzitutto, non è solo colui che sceglie i programmi e dirige l’orchestra in alcuni dei concerti in cartellone. Il suo è un nome di richiamo che qualifica la gestione artistica dell’ente e determina l’adesione dei grandi musicisti stranieri ai programmi dell’ente. Il direttore, quindi, è un “biglietto da visita” del teatro; per questo, nel caso di un ente lirico d’importanza internazionale, deve essere un riferimento artistico di valore internazionale.
Come uno strumentista si valuta in base alla musica che riesce a trarre dal suo strumento, così un direttore d’orchestra si valuta dalla musica che riesce a trarre dall’orchestra che dirige. Si è detto e scritto di tutto, ma ciò che si contesta a Beatrice Venezi è di non essere artisticamente all’altezza dei direttori che in genere guidano l’orchestra veneziana; le si contesta di non avere la necessaria esperienza, il curriculum, la fama adeguata, il credito necessario presso l’ambiente internazionale con cui la Fenice si confronta. Sono sostanzialmente questi gli elementi su cui si basa la valutazione del direttore musicale di un’orchestra; eppure si è detto e scritto di tutto.
C’è chi ha considerato le dimostrazioni degli orchestrali contro la prossima direttrice della Fenice una forma di insubordinazione. Non c’è nulla di più sbagliato: l’orchestra non è affatto un plotone militare e confondere le due cose è davvero un equivoco ingenuo. Giudicare un direttore d’orchestra, poi, non è cosa da tutti: ci vuole una enorme pratica d’ascolto, e i giudici più attendibili di un direttore d’orchestra, in fondo, sono proprio gli orchestrali. Il direttore, in realtà, non è un’autorità; non è un preside né un ufficiale di grado superiore, ma solo un musicista come gli altri che, per attitudine, studi e convenzione, coordina le parti orchestrali e conferisce lo stile interpretativo all’esecuzione musicale. Per questo, nell’orchestra, il direttore ha più che altro il ruolo di un primus inter pares.
Alcune tra le più grandi orchestre di fama internazionale, come i Wiener Philharmoniker, i Berliner Philharmoniker o i Filarmonici della Scala, sono enti in cui i musicisti sono organizzati in forma privata; qui, ad esempio, il direttore viene nominato dagli orchestrali stessi, sia che si tratti di un direttore stabile sia che sia designato per la stagione. Negli enti lirici come La Fenice la scelta del direttore musicale spetta al sovrintendente, ma è prassi che per la scelta siano adeguatamente consultate le rappresentanze degli orchestrali; e ciò è imprescindibile, perché è necessario un rapporto di fiducia tra l’orchestra e il suo direttore musicale.
Nel caso di Venezia, il sovrintendente della Fenice, Nicola Colabianchi, ammette – scusandosi con gli orchestrali – in una lettera del 23 settembre, di aver omesso, per ragioni di tempo, il confronto con le rappresentanze dell’orchestra. Ma molti criticano la trasparenza e la correttezza della prassi di nomina della Venezi. «La musica non ha colore, non ha genere, non ha età» conclude il documento dell’Assemblea generale dei dipendenti del Gran Teatro, letto in sala prima del concerto del 27 settembre. Alle molte critiche alla nomina di Venezi si aggiungono quelle di altri direttori d’orchestra italiani come Silvia Massarelli, Fabio Luisi e Vittorio Parisi; Parisi è il docente con cui la Venezi si diplomò a pieni voti in direzione d’orchestra al Conservatorio Verdi di Milano. Di inadeguatezza parla anche l’ex sovrintendente della Fenice Cristiano Chiarot.
Alcuni ricordano che nel 2005 Riccardo Muti, con molta dignità, si dimise dalla Scala di Milano per divergenze artistiche con l’orchestra. Anche Herbert von Karajan, dopo 35 anni, concluse il suo rapporto con i Berliner Philharmoniker in dissenso con gli orchestrali per la scelta del primo clarinetto. Ma nessuno, contestando Muti o Karajan, mise mai in dubbio – come avviene per la Venezi – l’alta statura artistica né la loro adeguatezza come direttori. L’accusa più grande rivolta a Beatrice Venezi è di essere fortemente sostenuta per meriti non musicali, come i presunti appoggi politici del partito di governo e la sua immagine mediatica. Si obietta che il premio Atreju 2021, la partecipazione come presentatrice al Festival di Sanremo, la presenza in show televisivi non facciano curriculum per una musicista.
Le opinioni politiche sono lecite per un musicista e non costituiscono né un merito né un demerito. Si può ricordare che Claudio Abbado, Maurizio Pollini, i membri del memorabile Quartetto Italiano e forse anche Severino Gazzelloni palesarono chiare idee politiche, eppure nessuno sosterrà mai che le idee politiche o l’appartenenza a un partito abbiano contribuito alla loro fama internazionale.