Il caso marò rischia la crisi tra Italia e India

I militari sono oggetto di un contenzioso tra l'agenzia incaricata di investigare sui fatti che vorrebbe applicare una legge, dove la morte di una persona è punita con la morte. Di diversa idea è il ministro degli esteri che non vuole provocare uno scandalo internazionale e mantenere saldi i rapporti tra i due Paesi. La parola spetta al tribunale
I due marò italiani

Nelle ultime quarant’otto ore Salvatore Latorre e Massimiliano Girone, i due marò italiani accusati di aver ucciso due pescatori al largo delle coste dello stato del Kerala nel febbraio del 2012, sono tornati a far notizia anche in India. Attualmente, alloggiati presso l’ambasciata d’Italia a New Delhi, i due marò sono ancora in attesa di giudizio.

Nelle scorse settimane, le autorità indiane hanno provveduto ad interrogare, presso l’ambasciata dell’India a Roma,  altri loro colleghi che si trovavano a bordo della Enrica Lexie, la nave da cui si sostiene che siano partiti i colpi che hanno ucciso i pescatori del sud India. La scorsa settimana si è, poi, svolta a Roma una manifestazione a favore della loro liberazione.

La notizia che ha fatto scalpore nelle ultime ore è stata quella apparsa sul quotidiano The Hindustan Times, uno dei giornali più letti ed autorevoli del Paese asiatico. Il quotidiano sostiene, infatti, che la NationalInvestigationAgency (NIA), incaricata di investigare sui fatti, sarebbe orientata all’applicazione di una normativa che potrebbe prevedere anche la pena di morte. Si tratta della ‘Suppression of Unlawful Acts Against Safety of Maritime Navigation and Fixed Platforms on Continental Shelf’ Act (SUA), una legislazione approvata nel 2002 che prevede che “causare la morte di qualsiasi persona sarà punita con la morte”.

La notizia, rimbalzata in Italia, ha suscitato, ovviamente, grande preoccupazione, dopo le assicurazioni da parte del Governo indiano a quello italiano che il processo nei confronti dei due marines non avrebbe portato, comunque, alla pena capitale.

Quello che, in effetti, traspare da un esame fra le notizie riportate dai maggiori quotidiani indiani – anche Times of India e The Hindu, oltre al già menzionato The Hindustan Times – è di un contenzioso fra la NIA ed il Ministero degli Esteri di New Delhi, che pare desideroso di risolvere il caso senza che i due italiani siano accusati in base alla legge del 2002. Si tratterebbe, infatti, di una chiara violazione della parola del ministro degli Esteri Khurshid e del suo impegno preso nei confronti del governo italiano. Trapela una tensione fra gli organi coinvolti in questa vicenda e ci si sta orientando a lasciare il destino dei due marò in mano al tribunale che di fatto li giudicherà.

Il quotidiano The Hindu ha riportato anche la dichiarazione di un funzionario del Ministero degli Esteri di New Delhi che ha riconosciuto che una eventuale accusa dei due italiani in base alla legge del 2002 potrebbe mettere in crisi i rapporti fra i due Paesi, oltre che minare l’immagine dell’India a livello internazionale. Esiste, quindi, una discrepanza di posizioni interne al Paese che si trova ora a dover giudicare i due cittadini e militari italiani e, in base a indiscrezioni comunque riportate dai quotidiani indiani, sono in corso lunghe discussioni fra il NIA ed il Ministero degli Esteri su come affrontare la fase conclusiva delle indagine prima dello svolgimento del processo.

Ancora una volta, come in occasione dell’immediato arresto dei due italiani, la situazione è legata a questioni interne dell’India e alle conseguenze che una decisione potrebbe avere su equilibri politici locali. Al contempo mostra anche la debolezza attuale del peso politico e diplomatico del nostro Paese, che da circa due anni non riesce a risolvere un empasse complesso.

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