Il carnevale nelle valli del Natisone

La tradizione del Pust resiste all’emigrazione che svuota i paesini. I ricordi della mascheraia. I tradizionali canti scherzosamente irriverenti. L’attesa degli anziani per i giovani che tornano in paese per la festa
pust

L'Italia è forse uno dei Paesi più ricchi in quanto a tradizioni carnevalesche, da quelle più conosciute – basti pensare ai festeggiamenti di Viareggio o di Venezia – a quelle note solo ad un pugno di persone ma non per questo meno ricche: e una di queste è quella dei Pust delle Valli del Natisone, lembo di terra fiulana ai confini con la Slovenia. Qui si parla nedisko, una varietà di sloveno; e in questa lingua Pust significa semplicemente «carnevale», termine che ha dato il nome anche alla maschera tipica di questa tradizione documentata sin dal 1200. Naturalmente ogni borgo ha le sue usanze e le sue maschere specifiche; e tra le più note, se non altro per la pervicacia con cui questa tradizione viene tenuta viva, ci sono quelle di Rodda.

«Una volta queste maschere erano molte di più – racconta Silvana Buttera, operaia in pensione e mascheraia per passione, tra le pochissime donne ad intagliare nel legno con certosina pazienza le figure tipiche di questa tradizione – e i festeggiamenti duravano anche una o due settimane: ora i giovani sono pochi, e purtroppo non hanno né il tempo né la voglia di preparare i travestimenti». Già, perché il costume del Pust, realizzato rigorosamente a mano, richiede mesi di lavoro: è composto da centinaia di striscioline di stoffa cucite una ad una sulla casacca, sui pantaloni e sul cappello a cono, e tutte della misura giusta.

Il Pust scorazza per il paese munito di pesanti campanacci – che fa suonare rumorosamente correndo e saltando – e di kliesce, pinze a pantografo con le quali fa ogni sorta di scherzo: dall'afferrare le gambe dei passati, allo spargere per il giardino del malcapitato boscaiolo i ciocchi di legna pazientemente accatastati.

Al gruppo di Pust si accompagnano le altre due figure tradizionali rimaste, l'angelo e il diavolo: il primo tiene alla catena il secondo, che cerca di liberarsi tirando pesanti strattoni – più di una volta l'angelo ha riportato qualche lieve infortunio…- e con la forca di cui è munito fa anche lui qualsiasi dispetto gli venga in mente. Una sorta di lotta tra bene e male, che il carnevale inscena in maniera scherzosa.

Una volta, dicevamo, i festeggiamenti duravano anche due settimane; oggi si concentrano invece in poche giornate. La principale è l'ultimo sabato di carnevale, in cui Pust, angelo e diavolo accompagnati dai fisarmonicisti visitano una ad una tutte le case del paese – ormai purtroppo non molto popolato a causa dell'emigrazione. Dopo aver messo scherzosamente a soqquadro il giardino, l'allegra brigata viene accolta in casa, e viene offerto da mangiare e da bere: e se è considerato un pesantissimo sgarbo verso la comunità non aprire le porte, altrettanto lo è rifiutare ciò che il padrone di casa mette in tavola – e vi garantisco che alla decima casa, data anche la gradazione alcolica media delle ottime grappe di queste zone, può diventare difficile tener fede a questo principio. Il tutto mentre, al suono delle fisarmoniche, Pust e abitanti della casa cantano e ballano i tradizionali canti del carnevale, spesso scherzosamente irriverenti.

Oggi sono pochi i giovani che ancora vivono qui; ma la tradizione è ancora molto sentita, tanto che alcuni risalgono dalla città per l'occasione. «Una delle cose che più apprezzo – racconta Alessandro, una delle «anime» dei Pust – è sentire la gente, soprattutto gli anziani, che ci dicono «è un anno che vi aspettavamo», e cantano e ballano con noi nonostante l'età. Così come il fatto che arrivino giovani anche da fuori per assistere: noi cerchiamo di includere tutti, facendo sì che non si sentano solo spettatori, ma che – pur riservando come è giusto il ruolo di protagonisti alle maschere – siano comunque accolti e partecipi».

Già, perché una delle cose sui cui non si transige, è che i vari ruoli mascherati vadano comunque assegnati a gente del posto: il che, lungi dal voler escludere chi del posto non è, è inteso a preservare l'autenticità di una tradizione che coinvolge purtroppo sempre meno persone. «Credo che la nostra energia risieda nel fatto che, prima di un gruppo folkloristico siamo un gruppo di persone che amano ritrovarsi e stare insieme – conclude Alessandro -; e anche se non sempre le manifestazioni riescono bene, se non sempre sono in molti a partecipare, finché avremo strappato anche un solo sorriso ne sarà valsa la pena».

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