Il Calvario su terracotta

Lo scultore Benedetto Pietrogrande è autore del commento iconografico alla via Crucis scritta dalla famiglia Zanzucchi Ho modellato ad appunti un Cristo fatto uno con la nostra umanità
Terza stazione della via Crucis modellata da Benedetto Pietrogrande

Quest’anno, per la prima volta, autori dei testi che commentano le stazioni della Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo sono due coniugi: Annamaria e Danilo Zanzucchi, tra gli iniziatori del Movimento Famiglie Nuove dei Focolari. Per il commento iconografico, invece, la scelta è caduta sulla Via Crucis realizzata da uno scultore milanese: Benedetto Pietrogrande, specializzato in arte sacra. A lui abbiamo rivolto alcune domande.
 
Sono quattordici formelle in terracotta verniciata. Come mai?
«Mi sono state commissionate circa tre anni fa per la rinnovata cappella del Centro del Movimento dei focolari a Rocca di Papa, cappella che custodisce le tombe di Chiara Lubich, la fondatrice, e di Igino Giordani, il primo focolarino sposato, di cui è in corso la causa di beatificazione. Trattandosi di un ambiente non vasto, un’opera grandiosa sarebbe stata sproporzionata: di qui la scelta delle formelle».
 
Cosa ha significato modellare un tema così impegnativo?
«È stato un impegno considerevole, dato il tema così alto, universale. Ripercorrere il Calvario “leggendo” la via del dolore accolto e amato fino all’ultimo respiro mi ha fatto riscoprire il Cristo uomo fattosi totalmente uno con la nostra umanità. Ho privilegiato un linguaggio artistico essenziale, fatto di tratti rapidi, di toccate col dito, ma al tempo stesso vivo e ricco di suggerimenti meditativi: quasi degli appunti che esprimono un’intuizione dell’anima. Ho modellato senza sapere come e dove le mani mi conducevano, per così dire. Tuttavia vedevo pian piano emergere dalla creta le immagini, anzi mi sembrava che la materia stessa garantisse l’effetto giusto, quello del raccoglimento davanti alla Passione di Cristo. E così, modellando “ad appunti”, mi trovavo già col lavoro terminato, non occorreva concluderlo e raffinarlo. Sì, è stata un’esperienza bella, profonda. In qualche momento ho avuto la percezione di lavorare e contemplare insieme».
 
Tra le formelle ve ne sono alcune particolari?
«Certamente quelle che rappresentano l’incontro di Gesù e Maria sulla via del Calvario, Maria ai piedi della croce, Maria che abbraccia il Figlio nella Deposizione. Sempre dentro un clima di contemplazione, ho cercato di esprimere il silenzio della Madre custode della tenerezza, del mistero del dolore amato. Il Crocifisso è addirittura fuori dello spazio, non ha il conforto di uno sfondo, di un passaggio di figure, quindi è solo: abbandonato. Ho cercato di rappresentarne la regalità anche nell’umiliazione, nella spogliazione di tutto».
 
Come hai accolto la notizia che questa Via Crucis avrebbe commentato i testi degli Zanzucchi?
«Con sorpresa, naturalmente. Ma più ancora è stato meraviglioso sapere che una coppia di laici è stata chiamata quest’anno a testimoniare l’amore al Crocifisso abbandonato. A dire il vero ho avuto qualche dubbio: le mie formelle sono rivestite di una vernice chiara, e nella riproduzione fotografica occorre una luce particolare per renderle come le ho sentite.  Ma chi è del mestiere sicuramente avrà fatto un buon lavoro».

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