Il bruco e la farfalla

Proposte di "economie alternative" a confronto, in un dialogo fitto tra Serge Latouche, teorico della decrescita felice, e gli economisti sociali Stefano Bartolini e Luigino Bruni 
Serge Latouche

Grandissima partecipazione martedì scorso alla conferenza organizzata alla libreria L’Arcobaleno Valdarno del Polo Lionello Bonfanti: «210 erano le sedie predisposte nella sala – ci racconta Rina Santoli –, oltre 70 le persone in piedi, più qualcuno che seguiva in collegamento da  un’altra sala del Polo. Tanta gente così si era vista solo quando era venuto Francesco Guccini».
 
Il prof. Serge Latouche è indubbiamente un personaggio molto conosciuto. La notizia si era sparsa e così oltre 300 persone sono accorse al Burchio la sera di un martedì (grasso), per assistere al dialogo del teorico della decrescita con gli economisti sociali Stefano Bartolini e Luigino Bruni. Un pubblico vario e molto eterogeneo: da giovani dal look evidentemente “no global” a imprenditori, studenti, cooperatori sociali, artigiani, lavoratori e studiosi.
 
Decrescita felice

Titolo della conferenza: Il bruco e la farfalla: quale capitalismo deve uscire da questa crisi? E dalla crisi è partito il prof. Latouche con un’analisi che ne fa risalire le prime origini al ’68: «Quando una crisi dura 40 anni parlare di crisi è un controsenso: siamo di fronte a un processo diverso, quello della decadenza della società occidentale, con effetti del tutto paragonabili a quelli della fine dell’impero romano».
 
Il professore continua esprimendo i principali presupposti della sua teoria sulla decrescita: «Nella vita continuare a crescere per sempre è impossibile, lo capisce anche un bambino: non si può crescere all’infinito dal momento che il nostro pianeta ha risorse finite: l’unica soluzione a questa crisi è decrescere, lavorare meno per lavorare tutti, decolonizzare il nostro immaginario e cercare di uscire dalla dipendenza che il consumismo ha suscitato in noi, con la grande complicità della pubblicità».
 
Il prof. Latouche vede con molta apprensione la situazione della Grecia, che a suo avviso si sta dirigendo verso un sistema totalitario: «La soluzione del debito in Grecia sarebbe facile: semplicemente non andrebbe pagato o andrebbe ripagato solo ai piccoli sottoscrittori». Altra definizione della sua decrescita è «abbondanza frugale»: ogni popolo può avere un modo diverso di intenderla, a seconda delle proprie radici culturali; qui il professore fa riferimento alle posizioni prese in questo senso in Sud America, ad esempio in Bolivia.
 
Beni relazionali e diritto al fallimento

Ha preso poi la parola Stefano Bartolini dell’università di Siena, dando la propria lettura della crisi e dimostrando, dati alla mano, che in estrema sintesi essa ha, fra le sue cause più rilevanti, il decadimento delle relazioni a tutti i livelli. È lì che occorre lavorare per superare questa crisi, costruendo le nostre città in modo che le relazioni trovino spazi privilegiati per crescere e svilupparsi.

Ha concluso la carrellata Luigino Bruni, riprendendo quanto Serge Latouche aveva affermato sulla Grecia: «Dobbiamo ricordarci che il fallimento di un’impresa è stato introdotto in Occidente anzitutto come garanzia per il fallito, perché evitasse di diventare schiavo. Nell’età antica si diventava schiavi per debiti: fallire per poter ricominciare è un diritto fondamentale dell’uomo, un diritto che dovrebbe valere anche per gli Stati e non solo per gli individui».

Le forme del mercato
 
Come seconda battuta Bruni ha voluto precisare che è importante non confondere i termini “capitalismo”, “economia” e “mercato”, perché indicano cose diverse e non possono essere usati come sinonimi: «Il capitalismo è la forma che l’economia di mercato ha preso negli ultimi 250 anni: prima, l’economia e il mercato avevano forme diverse, e io credo che da questa crisi possa nascere un mercato post-capitalistico, un’economia che salvi ciò che c’è di buono nel mercato civile, anche perché senza mercato torniamo al feudalesimo».
 
Lavoro e identità personale

Infine una battuta sul lavorare meno: «Penso che il tempo di lavoro non vada inteso solo come orario giornaliero, ma vada visto nell’arco dell’intera esistenza. In particolare va superata l’idea che da giovani si studia, da adulti si lavora e da anziani si è in pensione. Oggi dobbiamo iniziare a immaginare la possibilità di lavorare mentre ancora si studia, anche nelle scuole superiori, e di studiare durante gli anni del lavoro, non solo come hobby, ma rendendo possibile a tanti di prendere lauree e dottorati anche in età adulta, alternando, ad esempio, cinque anni di lavoro con un anno di studio».
 
«Infine – ha concluso Bruni – io tendo a non opporre il lavoro strumentale col “buono” del “dopo lavoro”, perché penso che il lavoro sia un luogo dove ci si possa realizzare: mentre lavoro esprimo tutta la mia identità e il lavoro è un luogo di relazione primaria, quindi l’idea che i beni relazionali comincino dopo che è finito l’orario di lavoro, non mi convince. Dobbiamo invece trasformare il lavoro dal di dentro in un luogo interessante dove vivere, perché ci passiamo otto ore al giorno. C’è tanto dono nel lavoro che va scoperto».
 
Prospettive future

La conferenza si è conclusa con un dialogo molto fitto: tante domande fatte da persone, molte delle quali giovani,  che si erano sentite interpellate personalmente dagli argomenti sollevati dal prof. Latouche e che hanno voluto dare il proprio contributo. Una serata riuscita, in cui si è aperto per il Polo Lionello un filone nuovo, molto promettente di dialogo con gli esponenti delle “economie alternative”: un evento che vuole essere infatti il primo di una serie, nell’ottica di un polo che sia non solo la casa degli imprenditori EdC e dell’economia civile, ma punto di incontro e dialogo con tutte le “economie alternative”.
 
 

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