I poteri della Bce contro la crisi

Atteso il piano straordinario congegnato da Draghi, Barroso, Van Rompuy e Juncker per salvare l’eurozona. Ma perché la Banca centrale europea concede prestiti alle banche e non agli Stati? Vuole la salvezza o la bancarotta?
Simbolo dell'euro

Il cittadino europeo si chiede perché la Banca centrale europea (Bce) presti soldi all’1 per cento alle banche private, e non conceda gli stessi soldi a questo tasso agli Stati, costretti a indebitarsi a caro prezzo sul mercato a causa dello spread (cioè il maggiore tasso che gli investitori fanno pagare a certe nazioni a rischio insolvenza di crediti). Ripercorriamo un po’ di storia per capire che anche la Banca opera per favorire la salvezza di uno Stato.
 
La Bce nasce con il trattato di Maastricht, che nel 1992 creò l’Unione economica e monetaria (Uem), di cui l’euro è l’elemento più visibile. In realtà, se la gamba monetaria della Ue è stata sin da subito molto sviluppata, quella economica, che doveva assicurare l’allineamento delle politiche economiche e di bilancio degli Stati dell’eurozona, necessario supporto alla moneta unica, è stata inesistente fino al 2010. Il presidente Ciampi ha coniato a questo proposito il termine “zoppìa”.
 
L’euro e l’antico timore dei tedeschi  La moneta unica è stata una concessione dell'allora cancelliere tedesco Kohl agli altri Stati europei, in particolare alla Francia, che temeva lo strapotere di una Germania riunificata, in cambio dell’appoggio alla riunificazione dei territori dell'Est e dell'Ovest. Per rinunciare al marco, simbolo dell’identità e della forza economica nazionale, i tedeschi hanno imposto un euro “forte”, con condizioni di stabilità economica provate per essere ammessi nell’eurozona, finanze pubbliche a posto e una banca centrale indipendente.
 
Il terrore dei tedeschi è ed è stato soprattutto l’inflazione Per questo, obiettivo principale da perseguire è diventata la stabilità dei prezzi. Berlino ha sempre guardato con sospetto alcuni Stati che bussavano alla porta dell’Euro, i quali avevano aumentato a dismisura la spesa pubblica facendo ricorso al debito pubblico, pagato poi dalle banche centrali nazionali se non si riusciva a piazzarlo sul mercato. Si stampava moneta per comprare debito, e la maggior quantità di moneta in circolazione creava inflazione. Soluzione resa inefficace da Maastricht e dal Trattato di Lisbona: la Bce e nessuna delle banche nazionali dei 27 Paesi dell' Unione possono acquistare titoli del loro debito pubblico. 
 
 
Le regole non cambiano. Ecco perché Si può cambiare questa regola? In teoria sì, ma nessuno lo fa, perché gli Stati spendaccioni ne godrebbero senza cambiare stile. In pratica una nuova modifica del Trattato di Lisbona sarebbe comunque un’operazione piuttosto delicata e mettere insieme 27 volontà politiche non sarebbe uno scherzo. 
E allora? Posto che la Bce non può fare prestiti agli Stati per risanare il debito, la regola è che gli Stati che hanno bisogno di prendere in prestito denaro – anche solo, come l’Italia, per rifinanziare il debito pregresso – vanno sul mercato, e lo pagano ai prezzi di mercato, spread compreso. Sarebbe possibile, e secondo noi vantaggioso per tutti, creare titoli di Stato europei, i famosi eurobond, per cui si batte il nostro premier Monti, attraverso i quali  tutte le nazioni, incluse le virtuose, potrebbero prendere a prestito denaro a minor costo. Per il momento, tuttavia, non ci sono le condizioni: troppi Stati sono ancora impegnati a risanare i loro conti pubblici per una gestione troppo allegra e gli Stati con i conti più in regola non vogliono che la mutualizzazione del debito interrompa questo impegno, molto doloroso come vediamo tutti i giorni.
 
A chi chiedere prestiti? Se uno stato, come è successo a Grecia, Irlanda e Portogallo, non ce la fa a finanziarsi sul mercato, chiede un prestito al Mes (Meccanismo europeo di stabilità, meglio noto come “Fondo salva Stati”), e un complemento al Fondo monetario internazionale, in cambio di un tasso ragionevole e dell’impegno a risanare le finanze pubbliche. Nel caso greco è scattato il condono del 50 per cento del debito. A quel punto, il risanamento, che dovrebbe essere un impegno innanzitutto nei confronti dei propri cittadini e delle prossime generazioni, diventa un obbligo nei confronti di terzi, assumendo tratti di durezza e di impopolarità che sono sotto gli occhi di tutti, e che in Grecia stanno provocando lo scivolamento verso la bancarotta, sociale oltre che finanziaria.
 
Dal canto suo, la Bce interviene comunque massicciamente, da fine 2010, acquistando centinaia di miliardi di titoli pubblici (italiani, spagnoli, greci), sul mercato secondario. Aggira cioè il divieto imposto dai trattati di comprare titoli “dagli Stati”, comprandoli di seconda mano sul mercato. Lo fa nei momenti in cui alcuni Stati hanno bisogno di rifinanziare titoli in scadenza e lo spread raggiunge, per gli Stati coinvolti, livelli tali da mettere a rischio la tenuta delle finanze pubbliche. Per evitare la crescita dell’inflazione, ritira contemporaneamente dalla circolazione l’equivalente monetario dei titoli di Stato che compra.
 
Mille miliardi di euro alle banche in pochi mesi La Bce, inoltre, presta soldi alle banche. Negli ultimi mesi ha messo a disposizione due tranches da complessivi mille miliardi di euro, che hanno permesso a centinaia di istituti di non fallire a causa dei titoli tossici che avevano in portafoglio dopo la crisi finanziaria (e, per la Spagna, la crisi immobiliare), evitando di rovinare – oltre che i loro manager e dipendenti, che beneficiano di poca simpatia da parte del pubblico – migliaia di risparmiatori. L’idea era anche che le banche potessero, con questi soldi, dare una mano al rilancio dell’economia – cosa che finora non è successa – e comprare titoli del debito degli Stati in difficoltà, cosa che sta avvenendo.
 
Soluzioni Ciò facendo le banche ci guadagnano? Sì. E il contribuente? In parte, perché paga meno le nuove emissioni di debito pubblico, dato che la maggiore domanda fa abbassare lo spread. Si può fare di più? Sì. Ne hanno parlato la settimana scorsa i capi di Stato e di governo durante un Consiglio europeo straordinario (il diciottesimo dall’inizio della crisi), e qualche iniziativa per la crescita sarà formalizzata al Consiglio europeo “ordinario” del 28-29 giugno.
Intanto però bisogna spegnere il fuoco, agire con rapidità – non è semplice a 27, o anche solo fra i 17 Stati dell’eurozona – e il margine di manovra è davvero limitato. La soluzione alla crisi non è dietro l’angolo e Mario Draghi, governatore della Bce, il leader Cameron (dal suo splendido isolamento, va detto) e altri autorevoli osservatori vedono come unica prospettiva il rafforzamento dell’unione politica e fiscale tra gli Stati dell’eurozona, in modo che le difficoltà dell’uno non mettano in pericolo gli altri, come già succede ad esempio negli Stati Uniti. La strada è lunga e il tempo stringe.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons