I guerrafondai d’Europa e la bandiera bianca invocata dal Papa

La bandiera bianca indicata dal Papa ha scandalizzato tanti perché è sembrata un atto di resa. Invece, è il dialogo l'unica strada percorribile per la pace.
Un momento della manifestazione per la libertà di manifestare, per il cessate il fuoco a Gaza ed in Ucraina, per la pace e la giustizia in Medio Oriente. Roma, 09 marzo 2024. ANSA/ANGELO CARCONI

Bisogna reagire duramente contro i guerrafondai d’Europa, contro le ipotesi belliciste del presidente francese Emmanuel Macron e del cancelliere tedesco Olaf Scholtz e l’irresponsabilità del premier polacco Donald Tusk. Ma bisogna reagire anche duramente contro i guerrafondai d’Italia, intellettuali e giornalisti che, su televisioni e giornali, parlano con disinvoltura di guerra.

«Il ruolo del giornalismo non è solo quello di riflettere il mondo così com’è – ha scritto Johan Galtung, fondatore nel 1959 del Peace Research Institute – ma è anche quello di rendere trasparenti, gli uni agli altri, i vari attori coinvolti: gli Stati chiave, il capitale, le persone. Il ruolo del giornalismo di pace è quello di identificare le forze a favore e contro la pace, rendendo visibili, oltre a esse, le loro dialettiche (l’espansione e la contrazione) e i relativi risultati, che possono diventare soluzioni».

La bandiera bianca indicata dal Papa ha scandalizzato tanti perché è sembrata un atto di resa. Anche se è stata ampiamente spiegata da chi si occupa di diritto umanitario, è stata poco capita, probabilmente per puro pregiudizio, da chi pensa che la guerra sia una strada inevitabile. Invece è la pace l’unica strada inevitabile. «Ciò che mi affligge di più in questa ripresa del conflitto – scriveva don Tonino Bello in occasione di altri contesti bellici – sono due cose. Il terrore di dover ripetere, in un mondo di sordi, le stesse argomentazioni contro la guerra; di dover risentire le filastrocche sul pacifismo a senso unico; di dover rispondere che il pacifismo si desta quando c’è puzza di America. E poi il dover constatare che gli interessi economici prevalgono sui più elementari diritti umani».

Così ogni iniziativa in direzione della pace, se non bandita, è stata criticata. È accaduto anche nei confronti delle iniziative del presidente della Cei a nome del Papa. Quanti hanno criticato l’esito negativo non hanno poi opposto alcuna alternativa col risultato che oggi nessuno più parla di pace e di pacificazione, ma, ogni giorno, la posta è al rialzo facendo paventare una escalation dei conflitti.

Un momento della manifestazione per la libertà di manifestare, per il cessate il fuoco a Gaza ed in Ucraina, per la pace e la giustizia in Medio Oriente. Roma, 09 marzo 2024. ANSA/ANGELO CARCONI

Che il presidente ucraino Zelenski non abbia subito cercato la pace quando era in una condizione militare favorevole dovrebbe essere chiaro a tutti, in particolare al governo italiano che si accoda alle scelte di altri Paesi senza mai mettere in campo un pensiero critico. Il sentirsi spalleggiato dagli Usa e dall’Europa incondizionatamente ha reso il presidente ucraino poco permeabile a un’exit strategy e al pensiero della pace.

La difesa, certo, è un diritto sacrosanto di ogni nazione, ma non si può pensare di invertire il senso della storia, semmai si può discutere su un tavolo di trattative su come indirizzare quel senso. Il riferimento è tanto alla Russia che guarda in modo retrospettivo all’Unione delle Repubbliche Sovietiche che all’Ucraina che ha pensato magari di riprendersi la Crimea occupata dai russi nel 2014.

In uno scacchiere nel quale i confini degli Stati non sono ancora stati stabilizzati forse potrebbe essere utile chiedere direttamente ai cittadini quale prospettiva immaginano per il loro futuro. Così pure non può essere dato per scontato l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea e nella Nato se questo è vissuto come elemento di insicurezza da parte della Russia.

Forse una strada più accettabile potrebbe essere un’autonomia e una neutralità dell’Ucraina affinché la Nato non lambisca i confini della Russia. Insomma, bisognerebbe discuterne. Ma lo si può fare solo se le armi tacciono, se i contendenti si siedono ad un tavolo di trattative, se la diplomazia finalmente smette di fingere di lavorare per la pace e si adopera seriamente per conseguirla. Questa è la bandiera bianca che invoca il Papa.

Occorre uscire dalle sacche della propaganda per aprire spiragli di distensione. Col dialogo tutto è possibile, anche alzare la voce, stracciarsi le vesti, contrapporre i torti e le ragioni, contestare all’altro i disastri e i lutti subiti a causa della guerra, le violazioni dei diritti; tutto, proprio tutto è possibile, ma intorno ad un tavolo occorre necessariamente guardarsi negli occhi e questo potrebbe indurre a riconoscersi parte dell’umanità e persino vittime delle stesse sofferenze.

Ogni primo passo richiede un surplus di coraggio. Su questo i cristiani devono insistere. «La religione – diceva Igino Giordani – non si circoscrive, né si esaurisce, nelle pareti del cuore, né tampoco in quelle domestiche: essa è dilatazione che tende a investire tutta l’umanità. E neppure finisce nelle chiese, dove anzi comincia, ma esce nelle vie e per le piazze a ricercare in ogni angolo ogni creatura».

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