I greci sperano nel default

Più di ventimila i senzatetto ad Atene: non sono clochard ma impiegati, commercianti, piccoli imprenditori. Nelle piazze si distribuiscono viveri e vestiario, mentre nessuno crede più al Governo e alle trattative con l’Ue
Un bimbo greco in fila per il cibo

Nel primo canale della tv di Stato greca, a più di mille colleghi non è stato rinnovato il contratto. I giornalisti rimasti non hanno più né quattordicesima, né tredicesima, mentre chi è rimasto si ritrova con uno stipendio di 750 euro che a fine mese sarà tagliato del 22 per cento. «Abbiamo perso tre stipendi in un anno e siamo fortunati perché ancora lavoriamo», raccontano non senza angoscia.

I tagli richiesti dalla troika (Ue-Bce-Fmi) per i greci significano stipendi minimi al limite della sopravvivenza, pensioni insufficienti, miseria dilagante e futuro che ha come colore esclusivo il nero. Per verificare cosa il pressing dell’Unione sta generando nel Paese bisogna andare nelle piazze e assistere alla distribuzione di viveri e vestiario. In fila, tra l’incredulità generale e i dati inconfutabili, non si incontrano i clochard ma laureati, impiegati, gente che parla tre o quattro lingue ma che ha perso il lavoro e la casa perché non riesce più a pagare i mutui. Si parla di circa ventimila persone.

I cittadini spontaneamente organizzano gruppi di solidarietà via internet e si danno appuntamento in alcuni posti di Atene. Senza quest’assistenza spontanea, tanti sarebbero morti: lo Stato non è in grado di provvedere più ai suoi cittadini. «Ho dato ad una bambina le scarpe vecchissime di mio figlio – racconta una giovane professionista e lei è arrivata con il fratellino chiedendomi di portarle per lui tra una settimana».
Poi c’è un signore anziano, dallo sguardo spento. Anche lui chiede scarpe: le vuole morbide e resistenti. Le sue sono bucate da un pezzo. Chiedendo l’età si scopre che è nato nel 1926. Pensava che la guerra mondiale era il massimo della sofferenza vissuta. Non credeva di finire i suoi giorni sulla strada. La pensione è insufficiente. Tanti bambini sono stati presi in affido da organizzazioni umanitarie che riescono ad assicurargli un pasto caldo e un rifugio, mentre per i genitori l’unico luogo è la strada.

Alcuni sacerdoti ortodossi hanno avviato delle mense nella loro chiesa: in questi giorni di gelo sempre aperta per dare rifugio a chi vive in strada e all’addiaccio. Anche lo stadio si è trasformato in un dormitorio notturno per evitare morti da assideramento, ma la mattina tutti in strada compresa una ragazza incinta che non sa proprio dove rifugiarsi.

L’esperienza di piazza Syntgma e delle altre piazze che provavano a dare una svolta democratica e partecipativa alla crisi è tramontata definitivamente? E’ stato tutto inutile?
L’11 febbraio rappresentanti di questi comitati si sono dati appuntamento all’università di Scienze sociali Pantio,per ideare una linea di protesta non fine a se stessa. Intanto questi gruppi hanno presentato al sindaco di Atene una lista di 16 proprietà pubbliche che potrebbero essere usati come rifugi di emergenza. La risposta della politica è stata quella di mettere l’esercito a presidiare questi luoghi.

La gente non riesce a capire cosa sta succedendo. L’informazione è pilotata sia quella statale che pubblica: gli stessi giornalisti lamentano questo controllo, impossibile da scalfire. Tenere all’oscuro le persone le rende più indifese. Intanto Sky ha lanciato una raccolta di cibo nei supermercati, invitando la gente a lasciare qualcosa della loro spesa per chi non ha più niente. Raccolgono i viveri alcuni enti assistenziali legati alla chiesa ortodossa che intanto ha ricevuto circa 300mila euro per questi primi soccorsi. Ma la gente si scaglia anche contro la gerarchia: chiedono che faccia di più.

«Il vero problema sono i partiti politici – commentano. Non prendono posizione contro la Troika. Gli aiuti, che la Grecia riceve vanno a coprire gli interessi sui titoli di stato. Nulla arriva alla gente che è letteralmente alla fame». C’è grande mestizia per le strade: negozi e pub chiusi. Il turismo è ancora un polmone, ma quanto potrà durare si domandano.
Dopo Natale la situazione è drammatica: qui si tratta di salvare le persone della morte. Sarebbe stato meglio dichiarare il fallimento. Ci avrebbero rimesso le banche tedesche e francesi che detengono gran parte dei nostri titoli, ma noi potremmo, pur con sacrifici, ricominciare. Ora non si vedono prospettive e Governo è incapace di indicarle.  Meglio questo terribile o auspicabile default.
 

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