I due doni di padre Turoldo

L’abbazia romanica di San Giorgio, nella Bergamasca, richiama la figura del frate servita, indomito testimone della fede e grande poeta, che vi trascorse l’ultima parte della sua turbolenta esistenza
David Maria Turoldo

Sentir parlare di Sotto il Monte, fa subito venire in mente il paese natale di papa Giovanni XXIII, ora santo, un luogo visitato ogni anno da decine di migliaia di pellegrini provenienti da tutto il mondo. Forse però non molti sanno che poco distante, nella frazione di Fontanella, tra boschi e filari di viti, esiste un piccolo gioiello dell’architettura romanica: l’abbazia di Sant’Egidio, edificata nel corso dell’XI secolo da monaci cluniacensi. Del primitivo complesso monastico, purtroppo, non s’è conservato nulla; rimane invece la chiesa: una elegante costruzione di tipo basilicale a tre navate, con torre campanaria impostata sull’asse di quella centrale, che figura tra gli edifici medievali meglio conservati dell’intera provincia di Bergamo.

 

Nel sito Internet dell’abbazia si legge, quale benvenuto ai visitatori: «Sono passati più di novecento anni da quando Alberto da Prezzate fondò la chiesa di Sant’Egidio e il monastero benedettino adiacente. Le generazioni si sono susseguite nello scorrere dei secoli, come le stagioni, come gli eventi della piccola e grande storia degli uomini. Eppure mai han cessato di risuonare nella quiete del chiostro e all’ombra delle possenti mura di questa chiesa i passi dei viandanti. Qui sono passati uomini con il loro carico di gioie e dolori, per rivolgere una preghiera, chiedere un aiuto, ascoltare la Parola, respirare la presenza dell’Assoluto. Qui tutto parla del Dio Trinitario Padre, Figlio e Spirito Santo. Qui Gesù, il Crocifisso Risorto, accoglie i passi di tutti e di ciascuno. Qui la comunità si fa tua compagna di viaggio, fraternamente, in questo angolo di storia».

 

Oasi di pace e di preghiera, l’abbazia di Fontanella ha accolto gli ultimi ventott’anni di una grande figura che ha attraversato tutto il Novecento: lo scrittore e poeta friulano David Maria Turoldo, frate dei Servi di Maria (1916-1992). Fondatore a Milano, con padre Camillo De Piaz, della “Corsia dei Servi”, un centro culturale aperto al rinnovamento sociale e religioso, collaborò attivamente con la resistenza antifascista, creando e diffondendo dal suo convento il periodico clandestino L’Uomo. Per un decennio predicò nel duomo milanese, ma per le sue idee ritenute troppo audaci fu dal suo stesso ordine allontanato e inviato in più sedi, anche all’estero. Il nuovo clima dovuto al Vaticano II favorì il suo ritorno a Milano, non senza l’interessamento del sindaco di Firenze Giorgio La Pira.

 

Dopo la morte di papa Giovanni, cui era molto legato, Turoldo ottenne di stabilirsi a Sotto il Monte presso l’abbazia di Sant’Egidio, a da lì continuò il suo servizio di “voce profetica”, fondando fra l’altro una comunità aperta a persone di tutte le fedi e anche a non credenti: la Casa di Emmaus. Morì di cancro nell’ospedale San Pio X di Milano. Oggetto, spesso, di critiche e discussioni per le sue posizioni teologico-dottrinali, fu invece universalmente apprezzato per l’azione pastorale improntata ad un profondo senso di solidarietà verso poveri e perseguitati (oggi sarebbe additato ad esempio da papa Francesco!).

 

Di alto valore la produzione poetica. Tra le sue opere vanno ricordate: Io non ho le mani, Se tu non riappari, Il sesto angelo, O sensi miei, Tempo dello spirito e il postumo Il dramma è Dio. Presso le Edizioni Messaggero Padova, che di Turoldo hanno pubblicato anche Il pastore innamorato (2002), Sul monte di luce (2006) e Il mistero del tempo (2012), è apparso di recente Povero sant’Antonio!, raccolta di quattro suggestive meditazioni proclamate dal frate servita nel lontano 1965 nella basilica del Santo, in occasione della tradizionale “Tredicina”, cioè i giorni precedenti la sua festa del 13 giugno.

 

L’ultima è un affettuoso, intenso colloquio col celebre predicatore francescano, al quale Turoldo si sentiva molto vicino («Anche lui, come Antonio, era voce libera, scomoda, meditativa, tonante, a volte disturbante», scrive Egidio Monzani nella postfazione). «Ti chiedo – vi si legge tra l’altro  – che l’uomo abbia un po’ di fiducia nell’uomo. E perché ci sia un po’ di fiducia, ti chiedo la grazia della sincerità, almeno per il cristiano. Intanto incomincia a darne un po' a me e poi a tutti quelli con cui devo trattare. Un po’ di sincerità, specialmente per quelli che governano, che insegnano, che scrivono. Non si sa più a chi credere, cosa credere. Che almeno i cristiani dicano la verità. Io devo predicare: insegnami a predicare, tu che avevi una lingua! Che almeno il predicatore sia onesto e libero e veritiero. Dio mio, che fatica a dire tutto il Vangelo: senza che si offenda nessuno, senza che ti accusino di imprudente, di sovversivo. E poi, che ti credano, che credano almeno alla Sua parola».

 

Pace e solitudine abitano il cimitero sulla collina di Fontanella. La tomba di padre Turoldo, a ridosso del muretto di cinta, è tra le più semplici ed umili: una grande croce di legno con incisi soltanto il nome e le date di nascita e di morte. Intorno, vasetti di fiori e ceri dicono l’omaggio di tanti che l’hanno conosciuto e amato, magari soltanto attraverso una sua poesia. Sì, perché – come ha scritto il critico letterario Carlo Bo –, «padre David ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede, gli ha imposto di cantarla tutti i giorni. E lui ha continuato a cantare, fino all’estremo».

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