Huawei e la sorpresa del nuovo Mate 60 pro

Sono di tre anni fa le sanzioni occidentali che dovevano decretare la fine del gioiello dell’industria cinese nel campo della telefonia mobile, e non solo. Ebbene, con il recente lancio a sorpresa dell’ultimo modello, il Mate 60 Pro, Huawei non solo sembra bypassare le sanzioni, ma rivela di aver compiuto passi da gigante nei confronti della concorrente tecnologia taiwanese, cioè statunitense.
Huawei (AP Photo/Ng Han Guan)

Da una settimana, le notizie che si rincorrono sui media internazionali sulla questione Huawei, col suo nuovo modello di telefonia mobile, il Mate 60 Pro, sono più numerose dell’altra notizia importante a livello di politica mondiale, cioè il viaggio di papa Francesco in Mongolia.

E Huawei predomina non solo in Asia. Perchè tanta fanfara per un semplice telefonino lanciato da una ditta iscritta nella lista nera delle sanzioni Usa? La questione è molto più grande del semplice (seppur sempre complesso) mercato della telefonia mondiale, investendo ovviamente anche il settore della tecnologia militare.

È una storia che ricorda i migliori film di spionaggio che possiamo aver visto. Nel 2020 sono scattate pesanti sanzioni nei riguardi della Huawei, una tra le prime (stava diventanto la prima) aziende al mondo per la telefonia e la trasmissione dei dati. Perchè queste sanzioni?

La risposta del Dipartimento di Stato Usa fu esplicita: sicurezza nazionale. Pertanto le notevoli installazioni di connessione dati già effettuate negli Usa e nei paesi Nato furono rapidamente smantellate, e bloccati i progetti di costruzione di impianti di telefonia negli Usa e altrove. Sopratutto alle aziende del settore dei microchips statunitensi e del blocco Nato, fu proibito di vendere semiconduttori (alla base della moderna tecnologia elettronica) alle aziende cinesi.

Da numero due al mondo per la telefonia, Huawei, ha visto crollare le sue vendite, tranne che in Cina e in Africa, dove la Cina ha da tempo consistenti impianti di comunicazione e reti di distribuzione.

Dopo tre anni, senza fanfara e senza preannunci, Huawei ha iniziato, ai primi di settembre, la vendita di un primo lotto di telefonini marcati “Mate 60 Pro”, senza nulla rivelare della tecnologia sulla quale si basano. Una volta testato, smontato e analizzato, il Mate 60 Pro ha rivelato la presenza di un processore Kirin 9000s, con tecnologia a 7nm, capace, in pratica, di sopportare la connessione 5G.

Cosa significa? Che l’azienda Huawei è riuscita a sviluppare, in questi 3 anni, un microchip interamente prodotto in Cina, senza l’ausilio di aziende statunitensi: un prodotto capace di eguagliare la tecnologia delle aziende occidentali, soprattutto della numero uno, la taiwanese Tsmc, leader mondiale nella produzione di processori.

Gli statunitensi erano sicuri che Huawei (e altre aziende cinesi del settore) fossero indietro di almeno 7 anni nella conoscenza e produzione dei microprocessori che permettono il funionamento di tutto quanto porta il nome di “smart” (in automobili, satelliti, televisori, navi, aerei, ecc.). Con il lancio a sorpresa sul mercato del Mate 60 Pro, i cinesi hanno dimostrato di essere forse a soli 5 anni di distanza dai colleghi taiwanesi (leggi statunitensi), ma in vantaggio per alcuni fattori importanti: il modo di lavorare dei chips cinesi è diverso da quello dei chips taiwanesi. Il telefonino Mate 60 Pro è in pratica veloce quanto l’iPhone 14, se non addiritutta più veloce.

Panico generale tra le aziende e i governi occidentali. È un segnale per certi versi inquietante che le capacità creative cinesi nel campo del business, della tecnologia, degli investimenti e delle infrastrutture, ancora una volta funzionano, e alla grande.

Le sanzioni contro le aziende cinesi, Huawei per prima, non hanno fatto che stimolarle (Hawei investe ancora oggi il 20% del suo enorme budget solo in ricerca innovativa) a svilupparsi, e a farlo congiuntamente ad altre aziende nazionali e straniere. Il Mate 60 Pro ha lenti e tecnologia fotografica avanzatissime, ed è stato sviluppato interamente in Cina (alle aziende olandesi di ottica e fotografia era stata impedita la vendita dei loro prodotti d’avanguardia al colosso di Shenzhen).
I trilioni di dollari in ordini persi, dal 2020 a settembre 2023, dalle aziende statunitensi e taiwanesi produttrici di microchips, sembra davvero che siano stati buttati al vento. I cinesi, con le loro capacità e doti di costanza, perseveranza, resilienza e laboriosità, hanno vinto questa ennesima battaglia. E sembrano aver sviluppato in proprio, senza dover dipendere da aziende occidentali, gli strumenti tecnologici per lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (A.I.), capace di guidare satelliti e missili, ma anche la vita di ogni giorno.

Oserei dire, spingendomi oltre, che potremmo forse trovarci di fronte ad un confronto sostanziale tra visioni economiche e dello sviluppo più che ad una guerra commerciale tra Usa e Cina. A modi diversi di intendere la vita e la società. Fa riflettere il fatto che in una trentina d’anni, 800 milioni di cinesi che vivevano alla soglia della povertà hanno potuto raggiungere un tenore di vita più che dignitoso.
E fa riflettere non poco, pur con tutti i distinguo del mondo, anche quanto ha affermato il 4 settembre scorso, Ren Zhengfei, fondatore di Huawei: “Dobbiamo conservare i talenti umani, non i dollari”.

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