Il cinema, tra le sue numerose virtù, ha quella di essere strumento della memoria. Ci ricorda il bene di cui abbiamo bisogno e il male di cui siamo capaci. Per gli ottanta anni da Hiroshima (oggi, 6 agosto 2025, ricorre questo triste anniversario) possiamo riflettere su quel tragico giorno dell’umanità con una serie di film.
Uno tra i più recenti sull’argomento è, in realtà, una docufiction con filmati di repertorio alternati a sequenze di fiction. Si intitola Einstein e la bomba ed è disponibile su Netflix. Attraverso il dilemma lacerante del protagonista, il suo senso di colpa per un pacifismo dissoltosi con la paura che i nazisti arrivassero per primi alla bomba, il film ci parla di come la scienza possa essere strumento divisivo, in casi estremi una terribile arma.
Il grande scienziato tedesco è immerso nel tempo oscuro di quel pezzo di Novecento, in fuga dal nazismo in quanto ebreo, prima in Inghilterra e poi in America. Tutto quello che ascoltiamo in Einstein e la bomba fa parte della sua testimonianza originale, ed è una lunga riflessione sul processo da cui prese le mosse quel disumano giorno del 1945.
Il protagonista confessa il suo dilemma tormentoso, coinvolto, con le sue ricerche e il suo genio, nella strada verso quel – tristemente noto – oggetto di distruzione. Qual è la funzione della scienza quando arriva a produrre la bomba atomica? Ce lo chiediamo durante la visione. Che valore e senso ha se produce tanto pericolo e dolore per l’uomo?
Naturale, guardando Einstein e la bomba, pensare al potente Oppenheimer di Christopher Nolan, il film sull’uomo che, anche lui fisico geniale, fu fondamentale nella costruzione dell’ordigno. C’è una frase, nel film, rivolta al protagonista: “Lei è l’uomo che ha dato il potere agli uomini di distruggere se stessi”. C’è Robert Oppenheimer stesso, che dice, alla vigilia di Hiroshima e Nagasaki: “Ora sono divenuto morte”, attraverso quella che il presidente Truman, nel potente lavoro di Nolan, definisce “la più grande scommessa scientifica della storia”.
La bomba viene considerata uno strumento della vittoria, quando invece è produttrice di centinaia di migliaia di morti, subito e nel corso del tempo. Per questo, “il padre della bomba atomica”, come definisce il Time lo scienziato Oppenheimer (sulla sua copertina), sente crescere il dolore dell’orrore nella sua anima lacerata. E confessa: “sento di avere il sangue sulle mie mani”.
Possono confliggere conoscenza, sviluppo tecnologico e pace? La domanda è più che mai attuale, e la memoria può essere fondamentale lezione. Lo spiega bene un altro film sul tema: Rapsodia in agosto del maestro giapponese Akira Kurosawa, del 1991. Un film amato e citato da papa Francesco, che TV2000 manderà in onda proprio stasera in prima serata.
Qui per vedere il trailer del film in programma su Tv2000
L’opera racconta la storia di un’anziana donna giapponese sopravvissuta al disastro nucleare di Nagasaki. Suo marito non ce l’ha fatta ed è morto con tutti i bambini della sua scuola. La donna rievoca la sua vicenda ai giovani nipoti coi quali è rimasta sola in casa durante un’estate, e dice loro, a un certo punto del film, col cuore pieno di sincerità e dolore: “la colpa è tutta della guerra. Non c’è niente peggio della guerra”.
Quei ragazzi vestono diversamente da lei. Diversa è la cultura e il mondo in cui vivono, ma attraverso il legame umano, l’incontro, il dialogo crescente tra generazioni, si mantiene viva la memoria dolorosa e necessaria: lo strumento che ci fa riflettere sul doppio fondo di una scienza il cui utilizzo non può prescindere dai valori umani della pace, della solidarietà e della fratellanza tra popoli e persone.
Ci viene in soccorso, da questo punto di vista, una frase inserita nella (piuttosto recente) fiction Rai Marconi, l’uomo che ha connesso il mondo. Lo scienziato e inventore definisce la «vera scienza – come quella – che migliora le esistenze agendo come forza del bene, non distruttrice. Allora – conclude il Marconi di Stefano Accorsi – serviamoci delle sue meravigliose conquiste per raggiungere l’obiettivo più alto: la pace e la solidarietà tra tutti i popoli».
Hiroshima è, 80 anni dopo, ancora dietro l’angolo, dolorosamente presente. Il suo disastro, la catastrofe che fu, insieme a Nagasaki, è mostrato in un film per la Tv didattico ma anche efficace: Hiroshima, del 1995 (su Prime Video).
Il ricordo di quella tragedia, di quell’abisso umano non deve essere rimosso dalle nostre coscienze; dunque anche un film d’autore come Hiroshima mon amour, di Alain Resnais, del 1959, pilastro indiscusso della Nouvelle vague francese, ci è d’aiuto. È un film sulla memoria, sui traumi della guerra che investono i rapporti amorosi.
È la storia sentimentale tra un’attrice francese e un architetto giapponese, ambientata proprio a Hiroshima, quattordici anni dopo l’esplosione della bomba atomica.
È , soprattutto, l’occasione per affrontare il tema della guerra come ferita interiore dura a guarire (a partire da quella profondissima vissuto dalla città e dagli abitanti di Hiroshima) per il dolore che ci penetra e tocca la nostra identità, i nostri legami umani primari, il nostro intimo più profondo.