Gulp inchiesta – Storia di ragazzi

La voglia di vivere di ragazzi che non sognano di fare la velina o il calciatore, ma aspirano a diventare pompiere, stilista, pattinatrice per un mestiere che gli garantisca un futuro migliore. Un ottimo esperimento televisivo
Gulp Inchieste

Dal 9 marzo, ogni sabato alle 17.20 (solo oggi alle 18.20), va in onda sul canale digitale per ragazzi Rai Gulp (canale 42), Gulp Inchiesta – Storie di ragazzi, un programma scritto dalla giornalista e conduttrice Monica Setta, presente all’interno dello stesso come voce fuori campo (voice over). Appartenente all’interessante genere del docu-reality, Storie di ragazzi si articola in 8 puntate della durata di circa 26 minuti l’una, che si concluderanno il 27 aprile.

Di fronte al proliferare di talent, anche per i più giovani, il programma, come viene ripetuto ogni volta in chiusura, è dedicato invece a tutti i ragazzi, non solo a quelli che dimostrano una particolare predisposizione per canto, musica e ballo, ma soprattutto a quelli che non aspirano a entrare nel mondo dello show biz, ma sognano di fare la stilista, il rugbista, la pattinatrice, la campionessa di karate e che semplicemente desiderano un futuro migliore per sé e per gli altri.

Sì, perché l’intento, come sostiene il vicedirettore di Rai Ragazzi e Rai Gulp Mussi Bollini, è quello di fare notizia con la normalità, dandole voce: i ragazzi “normali” sono stati scelti anche in collaborazione con il Forum delle associazioni famigliari, Moige, Coordinamento Genitori Democratici, Aiat. Alle interviste frontali, rivolte al protagonista della storia, si alternano le immagini tratte dal suo mondo: la scuola, la famiglia, le attività extra scolastiche, soprattutto quelle sportive.

Al centro ci sono esclusivamente i ragazzi, veri protagonisti del programma con le loro storie, e tale scelta è sottolineata altresì dalla presenza invisibile della conduttrice, che non si mostra mai in video, ma lascia spazio al racconto e al mondo dei suoi intervistati: domande mirate e impegnative, volte a mettere in luce sogni, desideri, speranze e paure, ma allo stesso tempo che trattano il ragazzo come si farebbe con un adulto, con tutta la serietà e le attenzioni richieste, quelle che si concedono alle persone importanti.

Quella che viene in luce è l’Italia di oggi, sempre più multiculturale, dove le nuove generazioni possono avere contemporaneamente nomi italianissimi come Marco, perché nate e cresciute nel Bel Paese, e cognomi stranieri come Xu, perché le origini sono lontane; un’Italia all’apparenza più nascosta, ma in realtà la più viva, quella delle borgate, delle periferie, dei quartieri difficili, da Scampia alle zone più abbandonate di Roma; l’Italia del sociale, che spesso passa attraverso lo sport, chiave di volta per tirare fuori dalla strada tanti ragazzi destinati altrimenti a una vita già segnata; l’Italia della diversa abilità, quella di Salvatore, bambino down con la passione per la musica e il rugby, la cui storia è trattata senza pietismo e sentimentalismo, ma come tutte le altre, come la semplice storia di un ragazzo e della sua voglia di vivere.

Dal programma emerge proprio questo: la voglia di vivere dei ragazzi, che passa attraverso le loro passioni, quelle che a quest’età (10-16 anni) danno senso al tutto e proiettano in modo positivo verso il futuro. È un’età difficile certo, ma ricca di scoperte su se stessi e sul mondo, l’età in cui si formano le opinioni e si decide chi e come voler essere “da grandi”. Un bell’esperimento televisivo per la rete del direttore di Rai Ragazzi Massimo Liofredi, programma che cresce in ascolti a ogni puntata, e che è certamente destinato a non concludersi in una sola stagione.

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