Graziella

Un “turbine” di vivacità, capace di conquistare all'amore di Dio tante persone e le più varie. A fianco di Chiara Lubich fin dai tempi della fondazione del Movimento ha saputo indicare direzioni di marcia adeguate al carisma
Graziella De Luca e Chiara Lubich

Ci sono persone che non possono lasciarti indifferente, che ti fanno sentire “comodo” solo dopo che ti hanno fatto sentire “scomodo”. Perché vivono nella verità. Così è di Graziella De Luca, una delle prime compagne di Chiara scomparsa sabato 9 maggio. Innumerevoli volte mi aveva ad esempio parlato della nostra rivista Città Nuova, portando suggerimenti positivi, segnalando potenziali persone interessate, indicando direzioni di marcia adeguate al “carisma” che ne era la ragione stessa di esistenza, Ma non risparmiava mai anche il suggerimento adatto a superare certe imperfezioni, certi limiti. Cioè non ci risparmiava le critiche, certamente costruttive.

Abbiamo ritrovato un profilo scritto per il libro Un popolo nato dal Vangelo (San Paolo 2003, autori Enzo Maria Fondi e Michele Zanzucchi). Lo riproponiamo ai nostri lettori, avendo costatato la quantità di lettori che hanno aperto su cittanuova.it gli altri articoli su Graziella De Luca.

 

Graziella De Luca, appunto. Chi ha modo di conoscerla non può rimanere indifferente alla straordinaria carica umana che emana. Da sempre, nel movimento ha trasfuso una straordinaria “capacità apostolica”, come si sarebbe detto qualche decennio addietro. Senza timore, Graziella riesce a penetrare nel cuore di tanti, a “conquistare all’amore di Dio”, come si usa dire con termini più adatti all’oggi.

Era nata a Trento da una famiglia medioborghese, ma nelle sue vene scorreva anche sangue siciliano. Il padre, fervente marxista, si definiva nello stesso tempo “teosofo”. Una personalità poliedrica, ricca di talenti: riusciva ad essere brillante scrittore e abile disegnatore. La madre, invece, era una donna cattolica, silenziosa e attiva, madre anche di tre fratelli. Cominciò a viaggiare molto presto Graziella – a ventidue giorni di età, verso Messina, dove i suoi si trasferivano – e non lo dimenticò più, tanto che uno dei luoghi privilegiati per trasmettere ad altri, anche a sconosciuti, la scoperta dell’ideale dell’unità, sono proprio i mezzi di trasporto…  «A tre anni – scrive in una sua breve autobiografia, a suo modo un best seller intitolataVorrei volare – accadde un episodio che ricordo come fosse ieri. La nonna mi chiama e trae da una dispensa antica un libro con una copertina a colori, raffigurante un Cristo. Era il Vangelo. Ho compreso che riguardava qualcuno che aveva a che fare con me. Mia madre ci teneva alla nostra fede e alla nostra pratica religiosa, e mio padre rispettava i suoi sentimenti. Io, devo confessare, ho sempre nutrito una cordiale antipatia per tutto ciò che definivo di sacrestia».

Come il padre, Graziella manifestò rapidamente una personalità poliedrica. La musica, la poesia, il ballo, lo sport, il teatro e il cinema erano suo pane quotidiano. Diventò tra l’altro campionessa di pallacanestro. Le venne addirittura proposto, in seguito a un provino ben riuscito, il ruolo da protagonista in un film di un certo livello. Ma non accettò, perché l’ambiente le pareva alterare il suo concetto dell’arte. I suoi gusti scolastici spaziavano su tutte le materie. «Ogni cosa che bramavo – racconta – riuscivo a raggiungerla senza difficoltà e si esauriva così molto presto ogni nuovo orizzonte. A dodici anni mi innamoro di un giovane di dieci anni più grande di me: un amore platonico. Alla stessa età sento, per un impulso interiore, e non per consuetudine, la spinta a confessarmi. Il sacerdote, dopo alcune domande, mi suggerisce di cercarmi un padre spirituale. “Un padre che?!”, gli chiedo. Le sue domande mi indispongono un po’, ma lasciando il confessionale trovo una luce: capisco che il sacerdote è un ponte tra l’anima e Dio».

Nel frattempo la guerra aveva cominciato a seminare terrore. Graziella aveva 17 anni. Un giorno, durante una passeggiata, le si presentò allo spirito una serie di interrogativi sul perché della vita, sul suo senso e il suo fine. Ma non trovò una risposta adeguata, e la tristezza le colmò il cuore. A un angolo di strada, scorse un capitello che esponeva una statua di san Francesco. Si fermò ad osservarlo, e mentalmente gli disse: «Se Dio esiste, se tu sei un santo, dai un senso a questa mia ricerca: cos’è questo tutto che non trovo e che mi manca così disperatamente?».  La guerra intanto continuava a distruggere uomini e cose: Messina fu rasa al suolo, e i De Luca tornarono a Trento. Anche lì, continuò la ricerca a tutto campo di Graziella. «Un giorno – racconta – vado in gita da sola, e un povero mi si avvicina e mi chiede l’elemosina. Apro il sacco da montagna e gli do il mio pranzo. Lui, riconoscente, mi prende la mano e me la bacia. “Eccessivo – penso –; non ho fatto che quello che dovevo”. E in cuore, intanto, mi nasce qualcosa che non avevo mai sperimentato: una gioia fresca, bellissima. E, dentro, una voce: “Tu devi cambiare, cambiare linea, cambiare vita”. Ma cosa dovrei cambiare? Non so».

Il 2 settembre 1943 si abbatté il primo terribile bombardamento sulla città. A terra, con le unghie infisse al suolo per la paura, tra il susseguirsi delle esplosioni in tre ondate successive, Graziella rivide in sintesi la propria esistenza: «Capisco che Dio c’è – scrive –, ma che non è ancora entrato nella mia vita, che è ancora vuota. Grido con tutta la forza dei miei polmoni, senza curarmi di nessuno: “Dio mio, Dio mio, non farmi morire, adesso so che significa vivere”. Tre soldati vengono ad allontanarci perché, poco lontano, sono cadute alcune bombe: una è esplosa lasciandoci illesi, ma le altre, vicinissime, possono scoppiare da un momento all’altro. Mi passa un brivido per la schiena: tocco con mano l’intervento di Dio».

È il preludio all’incontro della sua vita. Alcuni giorni dopo, una collega d’ufficio l’invitò a un incontro. Graziella le fece di rimando: «Religioso?». «No, no», rispose. Un no che era chiaramente un “sì”. «Ma ho deciso di prendermi gioco di lei – continua – e ho promesso che ci sarei andata, pensando: e verrò tutta alla moda, voglio proprio vedere se mi accetteranno». La Sala Massaia, luogo dell’appuntamento, era bassa e buia: ma in un angolo Graziella scorse una statua di san Francesco in atteggiamento accogliente. «Che voglia rispondermi oggi?», si chiese. Notò alcune ragazze che le venivano incontro: tra loro c’era Chiara. «Sembra che mi conoscano da sempre – scrive Graziella –. Strano: vestono alla moda anche loro. Chiara parla dell’amore di san Francesco e santa Caterina per i poveri. È qualcosa che le sovrabbonda dall’anima, ed è tutto fuoco».

E conclude: «E qui è il momento più difficile da descrivere, ma che mi è presente come l’avessi vissuto ieri: con gli occhi dell’anima, ho l’impressione di vedere una grandissima luce e capisco che è Dio, Dio amore infinito. Questa luce e questo amore mi saziano completamente l’anima. Ora sì, non c’è più vuoto in me. Ho trovato! Ma capisco che devo rispondere al suo amore con un sì che ingloba tutta la mia vita, essere amore che risponde all’Amore. Capisco che, se non dico il mio sì, Dio non mi chiamerà più. E io, che nella mia vita non avevo mai pianto, per essere donna forte, verso tutte le mie lacrime. Poi, per un impulso interiore, vado a consegnare a Chiara tutti i soldi che ho in borsa e le chiedo: “Hai un padre spirituale? Perché devo fare una confessione generale”. E in questo momento intravedo come Dio abbia condotto fin lì la mia vita, fino all’incontro con lui».

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