Governare gli Usa non è uno show

Tra licenziamenti, dimissioni, abbandoni dei tavoli di lavoro, twitter e proclami minacciosi  la presidenza Trump fatica a trovare un metodo di governo

L’ultimo ad essere licenziato o ad essersi dimesso, almeno fino ad oggi, è stato il consigliere strategico Steve Bannon. Estromesso in aprile dallo Studio ovale della Casa Bianca, l’esponente di estrema destra che aveva ispirato gran parte della campagna elettorale di Trump, il 7 agosto avrebbe presentato una lettera di dimissioni, ma il 18 il nuovo capo di gabinetto John Kelly ha affidato ad una nota la comunicazione che «di comune accordo, quel giorno sarebbe stato l’ultimo» a fianco del presidente.

Il licenziamento di Bannon segue quello del capo di gabinetto Prebius, del consigliere alla sicurezza nazionale Flynn (responsabile delle mail che hanno scatenato il Russiagate), dei direttori della comunicazione Dubke , Scaramucci,  il vice capo del personale  Katie Walsh, del consigliere per la sicurezza nazionale, dell’avvocato generale Sally Yates e del direttore dell’Fbi Comey. Per non contare assistenti, consiglieri di politica estera, strateghi, ambasciatori. Dimissioni eccellenti sono state quelle di Elon Musk (il fondatore della Tesla) a seguito dell’uscita  degli accordi di Parigi e di Sean Spicer, portavoce e assistente alla comunicazione in contestazione con l’assunzione di Scaramucci. In una foto del New York Times che ritrae i principali consiglieri del presidente appena insediato, l’unico ad essere rimasto ancora in carica è Mike Pence, il vicepresidente.

L’impressione è che la frase «you are fired» (sei licenziato) che Trump usava con soddisfazione nel reality show The Apprentice (un programma dove i concorrenti gareggiavano per passare da apprendisti a manager)  sia diventata una delle parole d’ordine anche della sua presidenza. Purtroppo, però, i riflettori sulla Casa Bianca non si spengono dopo due ore come accadeva nel reality , anzi dopo otto mesi a guida del Paese ci si attende che dalla fase di apprendistato si passi a quella di governo.

Il copione di “normalizzazione” della figura presidenziale che l’ex generale Kelly, ora capo di gabinetto, ha imposto al Commander in Chief per salvare l’immagine del governo è soggetto a continue riscritture per le uscite poco-presidenziali di Trump. L’adunata a Phoenix con l’attacco senza freni ai media, al governatore dell’Arizona e la riproposizione dei cavalli di battaglia elettorali (muro e immigrazione) ha mandato in frantumi il discorso da stratega sulla guerra in Afghanistan e sui costi per il Paese pronunciato il giorno precedente davanti ai generali statunitensi.  

Anche l’iniziale ambiguità sulla condanna degli scontri a Charlottesville tra esponenti dell’estrema destra bianchi e neonazisti da una parte, e oppositori dall’altra è costata la dimissione di tre direttori esecutivi delle maggiori compagnie informatiche e farmaceutiche del Paese dal consiglio degli affari, istituito dalla presidenza. E già altri avevano abbandonato altri tavoli di consulenza economica a seguito di alcuni tweet presidenziali giudicati inappropriati al ruolo.  

Malumori si registrano tra i senatori repubblicani e Mitch McConnel, leader della maggioranza ha esternato dubbi sulla continuità della presidenza Trump. Molti dei consiglieri che si sono dimessi dai ruoli di governo sono corsi da lui per esprimere lamentele e preoccupazioni,  con il risultato di farlo passare dalla parte dei cospiratori, soprattutto per alcuni commenti confidenziali sul presidente definito «riluttante ad apprendere qualsiasi norma di governo».

La grande capacità comunicativa di Trump, il suo decisionismo, l’essere fuori da qualsiasi schema amministrativo si stanno rivelando insufficienti alla prova dei fatti e per quanto le adunate dei suoi sostenitori diano vigore ai proclami la sua presidenza ha portato a casa ben poco in termini di politica interna ed estera, e rischia un serio fallimento nel caso in cui il Congresso non voti il bilancio federale a fine ottobre. In quel caso «you are fired – sei licenziato» lo pronuncerebbe il suo stesso partito.

 

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons