Goma dimenticata dal mondo

Sono ripresi i combattimenti tra esercito congolese e ribelli e migliaia sono gli sfollati. Il racconto di due volontari cuneesi che lavorano in una missione salesiana che al momento ospita più di diecimila profughi
bambini

Ancora una volta il dramma che si consuma al confine tra Rwanda e Congo passa nell’indifferenza più totale del mondo. Eppure continua incessante.

Goma è in centro Africa nella regione del nord Kivu nella Repubblica Democratica del Congo: è una città divisa dal confine con il Rwanda, la sua gemella ruandese si chiama Gisenji ed entrambe si specchiano nel lago Kivu, uno dei grandi laghi africani. La zona è verdissima, verso nord un enorme vulcano attivo fuma in continuazione ed alla sera dalla sua sommità sale verso il cielo un grande cono rossastro, poco a nord nelle foreste vivono gli ultimi esemplari dei gorilla di montagna.

Gli immensi tesori nel sottosuolo fanno gola a tutti e da decenni si soffia sul fuoco di rancori etnici in modo da alimentare una guerra civile che dura da anni ed ha causato milioni di morti e milioni di sfollati.

I gruppi ribelli, mercenari,militari che occupano e controllano le varie zone cambiano nome si mischiano , si scontrano in un susseguirsi di feroci massacri e come sempre chi fa le spese di questi giochi politici che finiscono nel sangue sono i civili ed in particolare le donne ed i bambini. E gli scontri continuano. La città di Goma è caduta il 21 novembre in mano ai guerriglieri del M23 (Movimento del 23 marzo), e gli sfollati aumentano, migliaia di persone fuggite dalla zona degli scontri arrivano in città con le poche cose che possono portare sul capo e la famiglia al seguito. Le ostilità tra l’esercito regolare congolese (FARDC) e i ribelli fanno morti e sfollati che non sanno dove andare e si rifugiano dove possono.

Qui stanno operando due volontari di Cuneo, Albino e Carmen che sono nel Centro Salesiano don Bosco Ngangi, una delle più grandi realtà a favore di bambini, donne, e sviluppo di Goma, gestito dai Salesiani con il supporto del Volontariato Internazionale per lo Sviluppo (VIS). Secondo le ultime stime, il numero degli sfollati solo al centro salesiano è arrivato a quota 10 mila persone, delle quali oltre 6 mila sono bambini. Ci sono 2180 “famiglie”; i bambini sono 6016, di cui 148 non accompagnati.

«Lo scenario è apocalitticio – dicono i due volontari – migliaia di persone arrivano dalla strada di Kibati, donne , ragazzi , uomini , tutti stracarichi con al seguito bimbetti, capre, maiali, mentre ci avviciniamo però restiamo allibiti , la metà di loro sono militari in fuga, l’esercito congolese è in rotta, dobbiamo fare un km. della loro stessa strada. Procediamo lentamente in mezzo a questa marea in fuga, ci sono fucili, mitragliatrici, lanciagranate e l’idea di un malinteso qualunque tra qualcuno di loro oppure di coloro che li stanno spingendo ci farebbe trovare in una situazione veramente pericolosa, non ci sono vie di fuga».

Intanto si sta cercando di riportare la gente a casa. La decisione di aiutarli a tornare nei villaggi d’origine è stata presa dall’insieme delle ong attive a Ngangi, considerati molti fattori: la volontà degli stessi sfollati; la valutazione sulla sicurezza delle aree, realizzata dalla missione di valutazione del “cluster protection”; l’aiuto offerto per il viaggio (cibo, acqua, sapone, teli e trasporto); la promessa di sostegno prolungato da parte del Pam, dell’Unicef e di altre ong attive nell’educazione e nella cura sanitaria.

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