Gli accordi Schengen schiacciati tra migranti e terroristi

Il tema della sospensione degli accordi sulla libera circolazione dei cittadini nell’Unione europea è passato in secondo piano rispetto alla minaccia del terrorismo, ma le due questioni sono interconnesse
Bambina in un campo profughi a nord della Grecia

Il trattato di Schengen fu firmato il 14 giugno 1985 dai 5 dei 10 Stati membri che allora componevano la Comunità economica europea (Cee), ma si giunse alla sua piena attuazione solo nel 1995. Nel 1990 l'accordo fu completato dalla Convenzione di Schengen, con l'abolizione dei controlli alle frontiere interne e con una politica comune dei visti.

 

Prima del 1999, gli accordi di Schengen e le conseguenti regole operavano in modo indipendente rispetto all'Unione europea; poi, il trattato di Amsterdam li ha incorporati nell'assetto giuridico dell’Unione europea, fornendo al contempo un out-out per due Stati membri, tuttora fuori dalla cosiddetta area Schengen: l'Irlanda e il Regno Unito. Inoltre, Svizzera, Norvegia e Islanda sono membri non Ue che partecipano a Schengen, mentre Bulgaria, Romania, Croazia e Cipro sono membri Ue che però non sono ancora membri di Schengen, ma sono obbligati ad aderire.

 

L’area Schengen è sotto pressione da tempo, a causa del flusso di immigrati ormai fuori controllo da tempo. Secondo i dati delll'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, nel 2015 più di un milione di migranti hanno raggiunto l'Europa, la maggior parte dei quali erano rifugiati in fuga da guerra e violenza in Siria, Afghanistan e Iraq. Volendo cercare una data che rappresenti l’apice della crisi degli accordi di Schengen, potremmo risalire al 4 gennaio 2016, quando la Svezia ha ripristinato il controllo dei documenti ai viaggiatori proveninenti dalla Danimarca, per arrestare il flusso incontrollato di immigrati e richiedenti asilo verso il suo territorio. Poco dopo, la Danimarca decise di adottare la stessa strategia, ripristinando controlli dei documenti alla frontiera con la Germania. Altri Paesi hanno poi seguito l’esempio.

 

Indubbiamente, l’accordo di Schengen è poi stato messo ulteriormente alla prova dall’aggravarsi della crisi dei migranti e dall’accusa fatta alla Grecia, da parte di alcuni suoi partner europei, di non essere in grado di controllare le sue frontiere, che sono anche l’estrema frontiera dell’Ue. D’altronde, escludere la Grecia da Schengen non farebbe altro che aprire altre rotte di transito per i migranti, prima fra tutte quella che attraverserebbe l’Italia, magari tramite l’Albania. Indubbiamente, la Grecia non riesce a filtrare i migranti che avrebbero diritto a ricevere protezione internazionale con quanti si spostano per ragioni economiche, mentre l’efficacia del recente accordo dell’Ue con la Turchia per la gestione dei migranti potrà essere valutata solo alla prova dei fatti.

 

D’altronde, gli accordi di Schengen sono fondamentali per garantire la libera mobilità delle persone all’interno dell’UE che, assieme a quella delle merci e dei capitali, costituiscono una componente essenziale dell’integrazione europea. Eppure, i recenti attentanti terroristici di Bruxelles hanno dimostrato quanto sia facile muoversi all’interno dell’Ue e anche entrare e uscire dalla stessa Ue senza preoccupazioni. Per affrontare la questione non bisognerebbe mettere in discussione il sistema di Schengen ma, piuttosto, sviluppare un efficace sistema di scambio di informazioni tra polizie e servizi di intelligence dei vari Stati membri dell’Ue. Del resto, il controllo delle forntiere esterne dell’UE è un imperativo non più rinviabile. Infatti, secondo le intenzioni del Presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, gli Stati membri dovrebbero adottare nuove strategie per una forza di controllo delle frontiere.

 

L’Ue ha già un’agenzia, Frontex, che è deputata a promuovere, coordinare e sviluppare la gestione delle frontiere europee, in linea con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, in un’ottica di gestione integrata delle frontiere. Il potenziamento di Frontex non è più rinviabile, proprio per fronteggaire la minaccia del terrorismo, per tentare di regolare i flussi migratori e per evitare la messa in discussione degli accordi di Schengen. Infine, come affermato dallo stesso Juncker «se lo spirito di Schengen ci lascia… perderemo ben più più dell'accordo di Schengen. Una moneta unica non ha senso se Schengen decadesse». Affermazione rinforzata dalla Cancelliera tedesca, Angela Merkel, che ha dichiarato che «l'apertura delle frontiere e la zona euro sono direttamente collegati», incontrando però il disaccordo di altri politici e accademici. Proprio Angela Merkel, però, è l’unico leader europeo con una certa visione politica, talvolta anche contro i desiderata del suo stesso partito, mentre lo smantellamento del sistema di Schengen potrebbe avere delle conseguenze politiche imprevedibili.

 

Comunque, secondo quanto affermato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso in occasione della Giornata Nazionale delle persone con disabilità intellettiva, il 30 marzo 2016, «l'Italia democratica e l'Unione Europea sono nate per abbattere i muri di qualunque genere, per eliminare i fili spinati, per costruire un mondo di persone libere, uguali nelle loro diversità». Proprio questo richiamo dovrebbe essere recepito dai leader europei che, coraggiosamente, dovrebbero intraprendere delle iniziative per incrementare ulteriori forme di integrazione europea e non ridurle. Ciononostante, è comprensibile che almeno fino al referendum britannico circa la permanenza del Regno Unito nell’Ue, previsto a giugno, ben pochi passi in avanti veranno fatti.

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