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Cultura > Teatro

Giulio Cesare o la Notte della Repubblica

di Giuseppe Distefano

- Fonte: Città Nuova

Una messinscena del testo di Shakespeare rivisitato dal collettivo Il Mulino di Amleto, in un cortocircuito con il nostro presente dove emergono temi contemporanei quali il rapporto con il potere, la crisi della democrazia, il ruolo dei mass media. A Torino e Milano

ph Andrea Macchia

È pregno di parole, di pensieri e riflessioni che si raggrumano nel nostro presente. Che interpellano le coscienze. Che chiamano in causa la storia infausta di ieri, di oggi e di sempre, facendo esplodere gli equilibri e squilibri del mondo. Giulio Cesare o la Notte della Repubblica nell’adattamento e riscrittura di Marco Lorenzi e Lorenzo De Iacovo (progetto del Il Mulino di Amleto / A.M.A. Factory), è una potente, feroce evocazione del conflitto tra etica e politica dei nostri giorni, restituendoci tutta la modernità e universalità del gran testo scespiriano nel quale gli autori, traducendo e cambiando l’ordine di alcune scene con una esemplare operazione di montaggio drammaturgico, immettono altre parole e azioni taglienti come lame, prese in prestito da scritti di Heiner Müller, Anatomia Tito Fall of Rome, da Aldo Moro (alcuni passaggi del Memoriale e dalle lettere durante la prigionia delle Brigate rosse). A queste si aggiungono alcuni interventi testuali scritti di sana pianta dagli stessi autori. Il pubblico, nello spettacolo, è parte attiva dell’operazione teatrale condividendo una vicinanza con gli attori nel ristretto spazio di una sala del settecentesco monumento di San Pietro in Vincoli a Torino (ex Cimitero e ora spazio culturale). Seduti su due piccole tribune frontali, gli spettatori saranno successivamente invitati a uscire fuori sull’ampio spiazzo esterno per diventare massa uditrice, comunità, durante l’oratoria al microfono prima di Bruto poi di Marco Antonio (rispettivamente Vittorio Camarota e Raffaele Musella).

ph Andrea Macchia

«Oggi viviamo un’epoca che mette in crisi i valori democratici e occidentali, sedotta dall’idea dell’uomo solo al comando. Il nostro lavoro – spiega il regista Marco Lorenzi – vuole interrogare quella seduzione, non assecondarla». Shakespeare scrisse il Giulio Cesare sulla base degli eventi narrati da Plutarco. E forse la domanda essenziale del dramma proviene dall’antica fonte: che spazio ha l’etica in politica? Due personaggi così diversi come Bruto e Cassio, mossi da intenzioni che possono essere anche opposte, arrivano a credere che l’assassinio del leader sia l’unica via percorribile. Ma dopo il delitto? Che cosa costruiranno dopo la distruzione? Gli assassini di Cesare non hanno programma, non hanno progetto. Hanno sconvolto Roma e introdotto cambiamenti pericolosamente vicini ai confini della morale e non hanno nulla da offrire in cambio.

Giulio Cesare è un dramma di sentimenti eterni presenti da sempre nell’animo umano: il fascino del potere per il potere è uno di questi. Il critico letterario canadese Northrop Frye l’ha definita “la tragedia dell’ordine”, che viene sconvolto e addirittura capovolto. In realtà Bruto non è né un rivoluzionario, né un traditore dell’ordine costituito, ma un uomo che si batte per le libertà della Repubblica contro colui che è, ai suoi occhi, un tiranno. Il problema è che Cesare non solo è il suon padre adottivo, ma un uomo che egli ama e ammira. Per di più Bruto è nobile e generoso e, quindi, l’assassinio di Cesare è qualcosa che coinvolge la sua coscienza. Tragedia non tanto dell’ordine, quanto del potere, passato dal grande Cesare a due politici scaltri e opportunisti come Marco Antonio e Ottaviano. Per il regista Lorenzi la «vittima sacrificale non sono né Cesare, né Bruto, né Cassio ma il Parlamento come luogo simbolico della democrazia».

ph Andrea Macchia

Lavorando sul corpo di 6 attori – Vittorio Camarota, Yuri D’Agostino, Angelo Tronca, Alice Spisa, Francesco Sabatino, Raffaele Musella –, vestiti in eleganti abiti blu e camicia bianca, a plasmare un’epoca di fragilità degli ordinamenti democratici e repubblicani, è, dicevamo, un coinvolgimento ravvicinato col pubblico, che trova eco nel ristretto spazio scenico con al centro un asettico lungo tavolo bianco, luogo di congiure, intrighi, e azioni, con sopra due computer portatili, e due schermi sospesi ai lati della sala, dove scorrono immagini televisive di notiziari, cronache, eventi catastrofici, sommosse, manifestazioni, trasmissioni trash, e tutto ciò che i mass media ci propinano ogni giorno, dove il bene, il buono, il giusto è costantemente fuori gioco. Da quei monitor apparirà anche Cesare, impersonato in video da un magistrale Danilo Nigrelli, indagato dalla telecamera nei dettagli degli occhi e del viso. Lui, il protagonista della vicenda, è un’assenza, il suo fantasma, incarnazione dell’autorità spirituale. Il suo assassinio avverrà fuori dal nostro sguardo, palesandosi nelle braccia e nelle mani grondanti sangue dei suoi uccisori che arrivano disponendosi in fila a sancire la sua fine, ma anche, ben presto, la loro stessa disfatta, perché l’ossessione del potere divorerà anche loro. Rimarrà la domanda finale che il testo consegna a Bruto: «Chissà se esiste, nascosto da qualche parte della Storia, un paradigma diverso da questo?». Una messinscena diretta, immediata, di pura energia fisica e vocale, che arriva allo spettatore in tutta la sua forza, purezza e complessità, lasciando domande che interpellano. Uno spettacolo esemplare, tagliente, fuori dai canoni, compattamente giovane e maturo, che merita vedere e rivedere.

Lo spettacolo è in scena a Torino, San Pietro in Vincoli, per la Stagione Fertili Terreni Teatro, fino al 30 novembre; a Milano, Teatro Fontana dall’11 al 14 dicembre; ad Arzignano, Teatro Mattarello, il 18 dicembre.

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