Gita? No, grazie

Singolare rifiuto di una classe di terza media che preferisce non andare ad una gita scolastica perché un  compagno down non era stato ammesso dalla dirigente scolastica
gita

 

Ci risiamo! Come le fasi lunari, tornano i tentativi di discriminazione, figli di una cultura minore che, comunque, è difficile debellare, quella che guarda a qualsiasi diversità come un limite e non come l’altra metà del cielo che completa o potrebbe completare, se si avesse il semplice coraggio di guardarla, il nostro orizzonte.

Siamo in una scuola media di una città della Calabria, che per scelta non cito; si stanno svolgendo i preparativi di uno di quei momenti che valgono una stagione: la gita scolastica. Uno studente di una classe ha la sindrome di Down, e la dirigente dell’Istituto Comprensivo gli nega l’autorizzazione a partecipare alla gita.

 

Fin qui storia di ordinaria “ignoranza”, prima di tutto perché, nel variegato mondo della disabilità è notoria la grande capacità delle persone aventi questa particolare forma genetica alla socializzazione, alla predisposizione alla massima relazionalità, ecc. Ma torniamo al nostro scenario. La dirigente non solo nega l’autorizzazione per la gita corrente, ma arriva a chiedere ai compagni di classe di non portare a conoscenza del ragazzo le date delle prossime gite. Motivazione molto debole, in un contesto già debolissimo di per sé: «Scarsa capacità dello stesso ad apprendere a causa della sua infermità».

 

Questo a dispregio non solo delle norme della normale convivenza, specie tra ragazzi, ma anche delle leggi in materia di integrazione scolastica dove la gita è riconosciuta come «opportunità fondamentale per la promozione dello sviluppo relazionale e formativo di ciascun alunno», ed anche per «l’attuazione del processo di integrazione scolastica dello studente diversamente abile, nel pieno esercizio del diritto allo studio». 

Ma qui scatta l’imprevisto. I suoi compagni, terza media, quindi quelli del periodo “caldo” dell’adolescenza dove spesso può prevalere anche una sorta di individualismo, non solo declinano l’invito a non dire all’amico le gite future, ma rinunciano anche a quella presente per non vedere discriminato il loro compagno.

 

«Un’obiezione di coscienza che dimostra quanto i ragazzi hanno la vista più lunga degli adulti – dichiara Marco Espa consigliere regionale della Sardegna ed impegnato nel mondo della disabilità – che ben si inserisce in questo rinnovato contesto di indignazione generale verso ingiustizie e discriminazioni, che sta caratterizzando l’oggi del mondo. Mi auguro che vi sia un’ispezione ministeriale e che la dirigente, se è vero quello che le viene imputato, possa avere una sanzione che non permetta più violazioni delle norme per cui sono state fatte battaglie civili per anni».

 

Certo l’episodio dà alcuni segnali “forti”. Che la scuola rimane, nonostante tutto, comunità educante, perché si educa col concorso di tutti ed in questo caso un grosso segnale pedagogico l’hanno dato i ragazzi. Inoltre comprendiamo che i luoghi comuni non portano mai nella direzione giusta perché una generazione additata come individualista, distratta e avulsa da sentimenti di attenzione all’altro dà una lezione coi fiocchi. Infine è evidente che le cataratte sociali che ci impediscono di vedere chi sta accanto a noi e potrebbe darci qualcosa per la nostra vita sono dure da sparire e non c’è ancora nessun laser che le “operi” e le faccia scomparire.

Mi ricordo che molti anni fa, il mio amico Aldo scrisse un diario di suoi pensieri dal titolo accattivante: Nel villaggio dei fanciulli ogni angolo è una curva. Infatti negli spigoli degli adulti si va a sbattere sempre, mentre i ragazzi arrotondano tutto e vanno a mille!  

 

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