Nella società di oggi non è raro entrare in contatto con numerosi ragazzi che, per motivi di studio, lavoro o semplicemente per desiderio personale, hanno scelto di trasferirsi all’estero. Questi numeri sono in costante crescita e, per molti giovani, l’esperienza dell’espatrio rappresenta un’opportunità unica, ricca e stimolante. Ma, come accade in ogni fase della vita, anche questa esperienza può celare difficoltà e sfide di vario genere. Sempre più spesso, infatti, questi ragazzi sentono il bisogno di un supporto psicologico: uno spazio sicuro in cui trovare le parole per esprimere il proprio disagio, senza giudizio ma con accoglienza e rassicurazione, dove poter elaborare emozioni complesse e imparare a fronteggiarle.
Nella mia esperienza clinica ho incontrato molti giovani che hanno scelto di espatriare per ragioni diverse tra loro. Alcuni hanno visto in questa scelta un’opportunità di crescita e indipendenza, altri si sono concentrati sulle prospettive di carriera che il Paese estero offriva, altri ancora hanno voluto arricchire il proprio percorso universitario con un’esperienza travolgente e sfidante. Le loro testimonianze sono spesso stimolanti, piene di vitalità e di entusiasmi contagiosi. Tuttavia, può accadere che — in modi diversi — portino in seduta un bagaglio invisibile, fatto di sfide emotive, disorientamento, difficoltà relazionali e sconvolgimenti culturali. Anche se la maggior parte di loro ha scelto di migrare e si dichiara soddisfatta della propria decisione, una volta all’estero alcuni cominciano a sperimentare dubbi e insicurezze.
È il caso, ad esempio, di una mia paziente che, nonostante fosse pienamente realizzata nella prestigiosa posizione universitaria ottenuta in Inghilterra, ha iniziato a sentire un profondo senso di nostalgia. Mi raccontava la tristezza di vedere i propri amici “andare avanti” nella città natale, crescere e cambiare senza di lei, di non poter essere presente nei momenti importanti o di non poterli sostenere quando avevano bisogno. È stato emozionante accompagnarla nell’accettazione di questo cambiamento, aiutandola a chiedersi: «Come posso mantenere e nutrire queste relazioni oggi, nella nuova realtà in cui vivo?». Le relazioni si trasformano, a prescindere dalla distanza, e riconoscerlo le ha permesso di costruire legami nuovi, più consapevoli e profondi.
Un altro paziente, invece, ha sperimentato la nostalgia in modo diverso. Trasferitosi in un Paese in cui i coetanei gli apparivano più chiusi e distaccati rispetto a ciò cui era abituato, ha vissuto un senso di frustrazione e di esclusione. Spesso si sentiva fuori posto e finiva per rifugiarsi negli amici lontani, passando con loro il tempo libero a distanza. Così, però, si allontanava sempre di più dall’esperienza reale che stava vivendo, mettendo in atto un evitamento sociale. Il punto di svolta è arrivato quando ha imparato ad accettare il cambiamento, cercando un equilibrio tra il proprio modo di essere e quello degli altri, mantenendo autenticità ma sviluppando anche flessibilità relazionale, senza aspettarsi dagli altri la stessa risposta.
Come loro, anche molti altri giovani expat (espatriati, ndr) con cui ho lavorato hanno affrontato le proprie difficoltà. Per ciascuno di loro, lo spazio di ascolto psicologico ha rappresentato un punto di svolta: un luogo in cui sentirsi sé stessi, esprimere frustrazioni, solitudine e dubbi, senza sentirsi giudicati. Uno spazio dove rielaborare il senso di esclusione e trasformarlo in una comprensione più profonda di sé e degli altri, scoprendo nuovi lati della propria identità. In questo modo, la sfida dell’espatrio può diventare occasione di crescita e di trasformazione personale.