Giornalisti e caschi blu contro le violenze in Congo

Missione Onu per fermare gli abusi dei guerriglieri contro donne e bambini che cercano acqua potabile. Installeranno radio e allarmi
Caschi blu uruguay

In dicembre, un bimbo disse a un soldato che i Re Magi non sarebbero arrivati al suo paese, a portare i regali ai bambini, per colpa della guerra. Il bimbo era congolese e il soldato, un uruguayano delle truppe di pace delle Nazioni Unite. Il militare, di stanza nella città di Goma (Repubblica Democratica del Congo – RDC), rispose che non sapeva che ne sarebbe stato dei Re Magi, ma che sarebbe andato a parlare con Babbo Natale. Cosí, tutto il contingente uruguayano si mise a fabbricare giocattoli con materiali di fortuna. E, puntuale, il 25 dicembre, l’omone rosso e bianco del Polo Nord giunse alla base a far visita ai bambini.

 

“Babbo Natale” era Julio Alonso, un giornalista spagnolo che lavora come inviato di guerra da vent’anni. Insieme al compatriota Iván Durán, realizza documentari per un canale televisivo statunitense. Mentre lavoravano ad uno di essi, si trovarono a Goma, dove incontrarono i caschi blu dell’Uruguay, un piccolo paese sudamericano “ritagliato” tra Brasile e Argentina, che é uno dei piú attivi contribuenti delle missioni di pace ONU. Il contingente presente nella RDC conta 1.500 uomini. Con loro, Durán e Alonso intessero vincoli di cooperazione e amicizia.

 

Questi rapporti li motivarono ad accettare la sfida che la Missione ONU prospettó quando, nel mese di agosto, si registrarono 150 casi di donne stuprate nel Kivu del Nord, regione nordoccidentale del paese. Nessun membro della Missione si era reso conto di quanto stava succedendo. Neppure quelli della base montata a 30 km dalla zona del conflitto. “L’ONU” -ricorda Alonso- “intonó il ‘mea culpa’ e ammise che qualcosa evidentemente non andava, e che occorreva risolverlo con urgenza. Cercaró allora organizzazioni che creassero progetti e che proponessero soluzioni”.

 

Cosí si misero al lavoro. Crearono un progetto per migliorare la comunicazione tra i villaggi e la Missione ONU. “L’idea era estendere un sistema radio como quello che utilizzavano i militari”, racconta il giornalista. “Una persona del villaggio si sarebbe comunicata con la base due volte al giorno. Se ció non avvenisse, le possibilità erano due: che il villaggio sia stato attaccato, oppure che la radio abbia subito un’avaria”. In ogni caso, una pattuglia uruguayana si sarebbe diretta alla zona. Un sistema di allerta e di presenza che avrebbe fatto sí che i guerriglieri ci pensassero due volte, prima di far capolino in un villaggio.

 

Un’arma da guerra Gli stupri, nella RDC, sono utilizzati come strategia del terrore per provocare l’esodo dei villaggi della zona mineraria. In situazioni di grande precarietà, le donne che rimangono incinte devono convivere con i figli dei loro abusatori, dell’etnia rivale. I nemici sono cosí umiliati in seno alla loro stessa comunità. L’ultima serie di stupri è stata attribuita al gruppo Mai-Mai e alle Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda, ribelli hutu coinvolti con il genocidio ruandese del 1994. 

 

Alonso e Durán sono stati testimoni di questo fenomeno in altri paesi africani, come il Sudan. E hanno visto come militari, ONG e volontari locali si sono mobilitati senza riuscire ad evitare la violenza sessuale. “Qui nella RDC c’è la presenza dell’ONU: proviamo a collaborare”, pensarono al costatare la stessa problemática nell’ex Zaire. E aggiunsero: “Bisogna dare una mano affichè le persone non se   nee vadano dai loro villaggi, e che, quando i guerriglieri tentino di sloggiarli, i caschi blu le difendano”. 

 

Acqua per la vita e per la pace Insieme all’istallazione radio, il progetto include la costruzione di fontanelle di acqua potabile per evitare che bambini e donne escano dai centri popolati e siano un facili vittime della violenza. Le milizie, infatti, li intercettano quando scendono ai corsi d’acqua e li violentano sistematicamente. Bambini e donne non hanno modo di proteggersi, perchè non hanno alternative, quando hanno bisogno di acqua. 

 

Impiegata come risorsa da altre ONG nella RDC, l’istallazione di fontanelle ha dato risultati significativi. Nelle zone dove sono in funzione, gli stupri si sono fermati. “Non sapremo mai quante volte le milizie hanno pensato di attaccare. Ma abbiamo parlato con donne dei villaggi e sappiamo che non si sono piú verificati casi di violenza sessuale”, assicura Alonso.

 

D’altra parte, le malattie dell’apparato digestivo, causate in massima parte da acqua contaminata, si sono ridotte del 15%. “Nella RDC si verificano casi di dissenteria che debilitano donne incinte e malattie allo stomaco che uccidono bambini”, dice il giornalista. “Se installi una fontanella, stai prevenendo malattie e evitando che la gente rischi la vita per una bottiglia d’acqua”. Un’altra idea è collocare pompe di acqua lontano dai centri abitati, affinchè i guerriglieri ottengano acqua lí, riducendo cosí le occasioni di contatto con la popolazione locale.

 

Non é magico, ma é meglio di niente I giornalisti e i soldati uruguayani sono ben coscienti che non si tratta di soluzioni magiche. Nella RDC sono presenti equipes umanitarie di tutto il mondo, che cercano di collaborare con i molteplici attori della società di un territorio che supera i due milioni di km2 e alberga 60 milioni di abitanti.

 

Tuttavia, considerano necessario collaborare, anche se ciò permette di risolvere solo una piccola parte del problema. Alonso non perde la speranza: “Per quanto si faccia, si riesce a risolvere solo una percentuale molto basse della problemática. Ma se gli spagnoli fanno la loro parte, gli uruguayani fanno la loro, e gli australiani altrettanto, piano piano la ‘torta’ si completa”.

 

In una prima istanza, il finanziamento per il progetto sarà ottenuto da una ONG spagnola e dal 15% dei proventi ottenuti dalla vendita dei documentari di Durán e Alonso. “Una fontanella costa meno di duemila dollari” -riassume Alonso- “e con ciò si può evitare la morte di molta gente. Vale la pena”.  La messa in moto delle operazioni è in attesa dell’approvazione formale dell’ONU, che dovrebbe arrivare nei prossimi mesi. Intanto, i giornalisti spagnoli collaborano con i caschi blu uruguayani nel lavoro con i bambini della zona, convinti come sono che il giornalista è uno che si impegna profondamente con la realtà che descrive.

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