«Non era utopia, quella di La Pira. Era avere una visione di speranza. Aveva motivi interiori di fede per andare in senso contrario agli eventi, creando le condizioni per essere fratelli». Così una felice definizione del cardinal Bassetti che fa capire il percorso di santità della vita di La Pira riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa.
Il cinque luglio del 2018 il santo padre Francesco autorizzava la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i Decreti riguardanti le virtù eroiche di tre Servi di Dio, tutti e tre laici: Giorgio La Pira, Carlo Acutis e Pietro di Vitale.
Si giungeva così alla seconda tappa di un cammino intrapreso circa 38 anni fa a Firenze. I primi passi per avviare l’iter canonico si fecero nel lontano 22 ottobre 1983 (sei anni dopo la morte del Venerabile). La Pira era un “terziario” domenicano e per lunghi anni aveva abitato in una cella del convento di san Marco nella cui Basilica oggi riposa.
Dopo un lungo iter la postulazione generale ha affidato la scrittura della Positio sulla vita, virtù, fama di santità di La Pira ad uno storico dell’età contemporanea, il prof. Ulderico Parente che ha dovuto affrontare una enorme mole di lavoro durato dieci anni.
Ci sembra che le conclusioni ricavabili dall’esame delle fonti circa l’estensione e la persistenza della fama di santità del Servo di Dio dopo la morte siano abbastanza chiare: già in vita molti lo ritenevano un santo e, a distanza di tempo, vi è un progressivo consolidamento di tale convinzione anche in chi talvolta non ne ha condiviso le scelte contingenti specie di natura politica.
Giorgio la Pira appartiene a quella sorprendente primavera della chiesa fiorentina che vide germogliare, per poi fruttificare, alcuni tra i fiori più belli della sua storia di santità e di esemplarità evangelica: Elia dalla Costa, don Giulio Facibeni, Giorgio la Pira (tutti e tre Venerabili) e ancora don Lorenzo Milani e poi tanti altri; per non parlare di quell’altra grande stagione della cultura cattolica di marca fiorentina di cui l’espressione più alta e imperitura fu il poeta cristiano Mario Luzi.
Proprio quest’ultimo nell’anno giubilare del 2000 pubblicò un’“azione drammatica” intitolata Opus florentinum nella quale volle rievocare con la forza dell’immaginazione poetica e la luce della propria fede cristiana, la vicenda del duomo/cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Si tratta di un’azione corale che ha per protagonista l’intera città di Firenze, il suo popolo e i suoi santi: sopra le parlate di operai e contadini, monache e canonici e frati, pie donne e angeli e santi, s’innalza e si diffonde il grande e divino spirito della Chiesa che si muove e cresce nel tempo e continua ad avanzare e a durare nel nuovo Millennio, sempre più, come avrebbe detto proprio La Pira , in guisa di «una tenda che allarga sempre di più i suoi spazi, al servizio dei popoli del terzo mondo e di tutti i popoli della terra» contro le «due tende del terrore (ovvero la Nato e il Patto di Varsavia)» creando una grande spiazzo: «La radunata è qui, siamo arrivati… in questo spiazzo. Vedete vengono da ogni parte… Sarà una bella giornata… siamo in tanti già, via via si riempie la spianata, non suonano a vuoto le campane… sono tante le processioni che si incontrano… che moltitudine!… siamo in tanti, è vero c’è tutta Firenze o ci sarà tra poco, però lo spiazzo è immenso… Queste campane così tutte insieme non avevano mai suonato a festa».
«Siamo in tanti però lo spiazzo è immenso», il verso luziano possiamo attribuirlo proprio a lui, Giorgio La Pira, che dell’evento fiorentino del 26 febbraio “Mediterraneo, frontiera di pace”, tante volte è stato evocato e citato come padre ispirato e anticipatore: «L’intuizione di ritrovarsi dopo la prima esperienza di Bari nel 2020», ha affermato recentemente il cardinale Bassetti nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’evento, «è maturata proprio a partire da La Pira che, in piena guerra fredda, avviò un percorso politico per favorire l’incontro tra gli uomini e promuovere la pace. Anche oggi c’è un bene comune del Mediterraneo costruendo il quale si pone un tassello imprescindibile per l’intera famiglia umana».
Già don Giuseppe Dossetti, suo intimo amico e sodale nell’impegno politico, nella prefazione ad una raccolta di articoli di La Pira apparsi sulla Rivista “Il Focolare” dal 1948 al 1977, aveva sottolineato il profondo legame che univa il Mediterraneo al sindaco santo: «Non considerò mai il mare Mediterraneo come un confine o una barriera, ma come un lago («il grande lago di Tiberiade», diceva). Con gesti, atti e insegnamenti costanti, ammoni l’Europa che non poteva chiudersi nelle sue frontiere, ma doveva guardare all’altra sponda mediterranea con l’animo aperto, oltre che agli impulsi e ai fermenti delle tre religioni bibliche, anche ai popoli delle aree afro-asiatiche che si affacciano su quel “lago”, per riuscire pacificamente a integrarne le esigenze e gli interessi vitali, con civile, intelligente e fattiva solidarietà»[1].
Alle parole del monaco reggiano si ricollegano quelle del cardinale Betori quando ha ricordato che La Pira con la sua intuizione «sull’unità della famiglia umana, e sottolineando il ruolo delle religioni abramitiche al servizio di questa unità e della pace»[2] ha aperto cammini e costruito ponti di dialogo, pace e solidarietà, anticipando tantissimi temi e argomenti che sono stati ripresi e autorevolmente riattualizzati dalla Lettera Enciclica “Fratelli tutti” di papa Francesco.
Recentemente, un prezioso testo è stato reperito e poi amorevolmente curato per una pubblicazione, dal prof. Mario Primicerio che, «riordinando il catalogo dell’archivio online» della Fondazione, ha scovato un taccuino di «appunti per una autobiografia relativa agli anni 30-40 che fino dal titolo sono molto significativi “In aedificationem corporis Christi”». Pur nei limiti formali del genere letterario adottato in esso appare già sostanzialmente profilato non solo il pensiero politico, sociale e teologico di La Pira, ma anche individuare quelle che sono le radici spirituali del suo impegno.
Infatti, sin da una prima lettura risalta la sua importanza in vista di una maggiore comprensione dello spessore spirituale e teologico del grande uomo politico… se ce ne fosse bisogno. Inoltre, ci troviamo di fronte ad uno scritto che viene a confermare quanto ormai da tempo si è affermato e si va affermando tuttavia da varie parti e che la recente Positio sulle virtù ha ampiamente e puntualmente dimostrato: la profondità e l’ampiezza culturale e spirituale della santità di La Pira[3].
Sembra una discesa nelle profondità della vita più interiore del sindaco santo, dove troviamo in continua ebollizione riflessioni, pensieri e intuizioni, effusioni mistiche, assieme a slanci davvero appassionati come quando allargando il raggio dello sguardo da Firenze «Firenze cristiana (Jesus Christus Rex Florentini populi), edificata sull’Eucarestia, sul culto, sulla liturgia (sulla processione eucaristica).
Ricondurre il popolo fiorentino e la città alla consapevolezza di questi suoi fondamenti: riportarlo in cattedrale, attorno all’Eucarestia, al vescovo, alla liturgia (presenza del sindaco e del gonfalone; l’Eucarestia in Palazzo Vecchio (benedizione etc.; la S. Messa per Savonarola) (SS. Annunziata). Riflesso (in questo senso) della città celeste: […] – è il Paradiso?», al mondo intero, l’impeto di un amore più vasto e universale fiorisce quasi in esclamazioni come la seguente: «Non solo Firenze ed il popolo fiorentino riportati in Cattedrale: ma tutte le città della terra (Convegno dei Sindaci) e tutti i popoli della terra (Convegni per la pace e la civiltà cristiana)! La presenza in Cattedrale, attorno all’Altare, come il fatto centrale, orientatore, finale, illuminante (lucerna ejus est Agnus) di questi convegni (lumen ad illuminationem gentium)».[4]
Credo che le radici di quanto avviato nella città di Firenze siano da rintracciare proprio qui in questi anni di vigilia e di impegno, preludio alla prolifica e oserei dire sempre più mondiale fioritura della sua vocazione di deputato, padre della Costituente, Sindaco di Firenze, artefice della pace e costruttore di ponti tra Paesi guardinghi e sospettosi l’uno dell’altro.
In questi appunti appare già quello che l’indimenticabile David Sassoli aveva definito «un anticipatore, per quello spirito profetico formato da una vita interiore profonda che diventava metodo. Ed è con questo metodo che ha intuito in anticipo i nodi politici, teologici, diplomatici e culturali dell’Italia liberata, [animandola] di una ricerca più profonda e più alta, che si costruiva spiegando, parlando, condividendo anche nello stile di vita l’attesa della “Povera gente”.
La Pira scrive per Cronache Sociali questo strepitoso testo che indica la postura del politico che voglia essere tale e non semplicemente il piazzista del suo super ego»[5]. Con una espressione unica potremmo così sintetizzare l’argomentare del già presidente del Parlamento europeo: un autentico politico cristiano.
«Per lui» dice il cardinale Bassetti nella sopra ricordata intervista «pane e grazia erano la stessa cosa. Il pane erano i problemi dell’umanità, la discordia tra i popoli, le guerre, il confronto politico, e la grazia, Dio incarnato che è la salvezza dell’umanità».
Anche san Giovanni Paolo II ha in più occasioni messo in luce la straordinaria testimonianza cristiana di Giorgio La Pira. Il 26 aprile 2004, parlando all’Associazione nazionale dei comuni italiani nel contesto delle celebrazioni per il centenario della nascita del Venerabile, definì quella di Giorgio La Pira «una straordinaria esperienza di uomo politico e di credente, capace di unire la contemplazione e la preghiera all’attività sociale e amministrativa, con una predilezione per i poveri e i sofferenti»[6] e lo pose dunque a modello per tutti quanti operano a livello politico.
Ma sulla originalità e verità dell’impegno politico vissuto e animato cristianamente, lo stesso La Pira aveva detto parole importanti e chiare: «Non si dica quella solita frase poco seria: la politica è una cosa “brutta”! No: l’impegno politico – cioè l’impegno diretto alla costruzione cristianamente ispirata della società in tutti i suoi ordinamenti a cominciare dall’economico – è un impegno di umanità e di santità: è un impegno che deve potere convogliare verso di sé gli sforzi di una vita tutta tessuta di preghiera, di meditazione, di prudenza, di fortezza, di giustizia e di carità […] Io non sono un “sindaco”; come non sono stato un “deputato” o un “sottosegretario”: non ho mai voluto essere né sindaco, né deputato, né sottosegretario, né ministro (ricordi l’offerta di De Gasperi?). […] La mia vocazione è una sola, strutturale direi: pur con tutte le deficienze e le indegnità che si vuole, io sono, per la grazia del Signore, un testimone dell’Evangelo… mi sarete testimoni (eritis mihi testes) mia vocazione. La sola. É tutta qui!»[7].
Una vocazione, quella della discesa nell’agone politico che ha contrassegnato l’esistenza di altri grandi testimoni del Vangelo quali Alcide De Gasperi, Robert Schumann di cui sono state aperte le cause di beatificazione e quest’ultimo, come La Pira, Venerabile. Quale dono sarebbe allora per tutta l’Europa – che pare, in questi giorni, regredire ai suoi anni di guerra, di morte e di distruzione – quella del Nord (Schumann) e quella del Sud (La Pira) poter venerarli con il titolo di beati e in un futuro non troppo lontano con quello di santi!
Dai tempi dei santi re medievali, con l’eccezione di Carlo I d’Austria, la Chiesa non ha più visto canonizzare un puro rappresentante della “santità politica”: eppure hanno affermato Pio XI e successivamente san Paolo VI, ispirandosi al magistero di san Tommaso d’Aquino che la “politica è la più alta forma della carità”.
Come ha ricordato papa Francesco parlando ai postulatori ricevuti in udienza 3 anni fa a proposito del miracolo necessario secondo la normativa attuale per giungere alla beatificazione nelle cause super virtutibus: «Ci vuole un miracolo perché è proprio il dito di Dio lì. Senza un intervento del Signore chiaro, noi non possiamo andare avanti nelle cause di canonizzazione».
Ora come insegna la teologia classica e come la liturgia ci fa pregare e cantare nell’Inno Veni Creator Spiritus, lo Spirito Santo è proprio il Dito di Dio, di Dio Padre che pone il suo sigillo, unge, dona e realizza la santità nell’uomo: «Tu septiformis munere, dextrae Dei tu digitus, tu rite promissum Patris, sermone ditans guttura».
Lo spiega molto bene san Tommaso nel commento all’Etica a Nicomaco: «Affinchè l’uomo raggiunga la beatitudine (=perfezione) è necessario prima di tutto che acquisti la somiglianza con Dio mediante alcune qualità spirituali, che in seguito operi in conformità con esse e finalmente conseguirà la suddetta beatitudine. Ora i doni spirituali a noi sono dati per opera dello Spirito Santo; quindi noi acquistiamo la somiglianza con Dio e siamo resi capaci di compiere il bene per opera dello Spirito Santo e per opera Sua ci viene aperta la via verso la beatitudine. L’Apostolo evoca questa triplice tappa (2Cor 1, 21.22): “Dio ci ha unti, ci ha segnati col suo sigillo e ha infuso nei nostri cuori il pegno dello Spirito Santo” […] Il sigillo (signatio) sembra riferirsi all’impressione della somiglianza; l’unzione (unctio) all’abilitazione con cui l’uomo viene disposto alle azioni perfette; il pegno (pignus) alla speranza che ci orienta all’eredità celeste, la perfetta beatitudine»[8].
Ora se leggiamo, studiamo e analizziamo la vita del Nostro come le innumerevoli, autorevoli e umili testificazioni della sua santità, troviamo pienamente realizzate in lui le condizioni necessarie alla piena fioritura della Vita dello Spirito, grazie alla quale, ora nella Beatitudine celeste, può intercedere presso il Padre sull’esempio del Cristo unico e sommo Intercessore.
Mentre si facevano i primi passi per la canonizzazione di san Tommaso d’Aquino ci si accorse che la raccolta dei miracoli era molto scarna: sembrava quindi che tutto rovinasse e che la causa restasse nel limbo di quelle iniziate e mai terminate.
Ma il papa Giovanni XXII a questa obiezione rispose con la celebre affermazione, dopo aver letto la sua opera e informato sulla vita santa del frate domenicano: Quoniam tot miracula fecit quot determinavit quaestiones[9]. (Poiché ha compiuto tanti miracoli quante le questioni che ha determinato).
Non è forse così anche per Giorgio La Pira? Pensiamo di sì, ma non solo tot miracula tot quaestiones, ma anche tot gesta, tot sententia: tot miracula.
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[1] Giuseppe Dossetti, Prefazione a G. La Pira, Il fondamento e il progetto di ogni speranza, a cura di A. Alpigiano Lamioni e P. Andreoli, AVE, Roma 1992. Sull’argomento cfr anche: Il grande lago di Tiberiade, lettere di Giorgio La Pira per la pace nel Mediterraneo, a cura di M. Giovannoni, Firenze, Polistampa, 2006 (I libri della Badia, 7).
[2] Card. Giuseppe Betori, Vorrei che restasse un patrimonio per la città, Intervista del 22 febbraio 2021, Sito della Conferenza Episcopale Italiana.
[3] A proposito della santità del Venerabile mi piace qui ricordare – a ulteriore testimonianza attuale dalla sua fama di santità – la lettera scritta in data 20 febbraio 2022 al Direttore del quotidiano Avvenire di Giuliano Pisapia e da Alberto Mattioli intitolata “I primi cittadini meritano La Pira come loro patrono” nella quale dopo aver illustrato le difficoltà inerenti al ruolo di sindaco nelle città di oggi (ruolo per il quale «è prudente davvero accendere un cero e affidarsi ai santi. E così si può ancor meglio appellarsi a quella splendida figura che fu Giorgio La Pira, Venerabile non ancora santo ufficialmente, ma che già Santo per acclamazione popolare») e aver rilevato la grandezza politica, morale e spirituale del Nostro, concludono: «Oggi La Pira è un Padre riconosciuto da credenti e non credenti. Un pater-patrono a cui manca solo il riconoscimento ufficiale di beatificazione che il popolo gli ha riconosciuto in vita chiamandolo il Sindaco Santo. E noi speriamo che questo evento internazionale possa ulteriormente contribuire a divulgare la sua figura aumentando conoscenza e devozione. Giorgio La Pira è nei fatti il Sindaco dei Sindaci. E della sua intercessione i primi cittadini di tutto il mondo e il nostro Paese hanno bisogno».
[4] Giorgio la Pira, In edificationem Corporis Christi, Polistampa, Firenze 2021.
[5] David Sassoli, L’eredità di Giorgio La Pira nell’Europa di oggi, Discorso tenuto nel Salone dei 500 in Palazzo Vecchio, Firenze, 19.10.2019.
[6] Vale la pena qui ricordare anche le altre parole del papa: «Davanti ai potenti della Terra espose con fermezza le sue idee di credente e di uomo amante della pace, invitando gli interlocutori a uno sforzo comune per promuovere tale bene fondamentale nei vari ambiti: nella società, nella politica, nell’economia, nelle culture e tra le religioni. Nella teoria e nella prassi politica, la Pira avvertiva l’esigenza di applicare la metodologia del Vangelo, ispirandosi al comandamento dell’amore e del perdono. Rimangono emblematici i “Convegni per la pace e la civiltà cristiana”, che promosse a Firenze dal 1952 al 1956, allo scopo di favorire l’amicizia tra cristiani, ebrei e musulmani. In una lettera all’amico Amintore Fanfani, egli scriveva parole di una sorprendente attualità: “I politici sono guide civili, cui il Signore affida, attraverso le tecniche mutevoli dei tempi, il mandato di guidare i popoli verso la pace, l’unità, la promozione spirituale e civile di ciascun popolo e di tutti insieme” (22 ottobre 1964)», Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti dell’Associazione nazionale Comuni italiani, lunedì 26 aprile 2004, in http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it.html, consultato il 20 marzo 2022.
[7] Si tratta di una lettera a Fanfani che non sono riuscito a rintracciare nel mio archivio
[8] Citato in Jean-Pierre Torrell, Tommaso d’Aquino, maestro spirituale, Città Nuova, Roma 1998, pp. 192-193
[9] La risposta è riferita in Joannis Gersonis in Opera omnia, novo ordine digesta & in 5. tomos distributa […] Opera & studio m. Lud. Ellies Du Pin […] Antwerpiæ, sumptibus Societatis, 1709, II, col. 712.