Come abbiamo già detto in precedenti articoli, la genitorialità è una delle maggiori sfide che sottopone l’essere umano a numerose domande che iniziano già durante la fase pre-natale, in cui si comincia ad immaginare il figlio. Domande che poi proseguono nella fase post partum quando ci si trova dinanzi al figlio reale con le esigenze legate anche al contesto sociale e ambientale di appartenenza: «Sarò un buon padre?»; «Come potrò fare per non ripetere gli errori che hanno fatto con me in passato i miei genitori?»; «Cosa voglio portare con me della mia esperienza di figlio e cosa invece voglio lasciare?».
Ed ancora «A che età è giusto comprare il cellulare?»; «Quante ora al giorno un bambino deve vedere la tv?», e così via.
Il figlio mette ciascuno dinanzi alle proprie fragilità e alle proprie risorse. È attraverso il figlio che possiamo rivivere emozioni, sentimenti, dolori e pensieri vissuti in passato. È nel rapporto con il figlio però che ciascuno è chiamato ad essere una guida, un costruttore attivo e partecipe di una relazione che, tutt’altro che essere un qualcosa di precostituito, si struttura e cresce con lo sviluppo del bambino.
Nello stesso momento in cui un bambino viene alla luce, nasce anche un genitore. Non importa l’età o l’esperienza pregressa, si nasce come genitori insieme al figlio. Motivo per cui bisogna essere profondamente comprensivi verso sé stessi, accettare di non riuscire ad essere perfetti, comprendere che è possibile sbagliare, anzi che è inevitabile farlo.
Ed oltre ad essere inevitabile è anche profondamente umano, l’importante è riconoscerlo, chiedere scusa se necessario, perdonarsi e perdonare a propria volta gli altri intorno a noi che sbagliano. Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista statunitense, parlava di madre sufficientemente buona (ovviamente è possibile parlare anche di padre) come di colei che accompagna il bambino all’interno del mondo in cui vive senza però eliminare del tutto ogni tipo di frustrazione.
In un certo senso, è importante sottolineare come ciascuno, presentandosi come genitore fallibile che può sbagliare, da una parte aiuta il figlio a sviluppare anche la competenza del far fronte ai fallimenti genitoriali, sperimentando una frustrazione che se, limitata, proporzionata all’età e non costante, può senz’altro aiutare nello sviluppo di competenze autonome e resilienti. D’altro canto, sbagliando, presenta al figlio un modello di persona che può commettere degli errori, ma non per questo essere meno degno di stima e fiducia. Quale migliore insegnamento da trasmettere ai propri figli se non quello che è sempre possibile ripartire anche se si sono commessi errori? E certamente nessuno più di un genitore con il proprio esempio potrà insegnare questo.
È un intenso dialogo tra il perdono di sé stessi per essere stati genitori fallibili, l’accettazione dei propri limiti e dei limiti del figlio, ed il perdono e l’accoglienza della propria storia. Ciascuno è un genitore che si porta dietro di sé anche l’esperienza della genitorialità che ha vissuto come figlio. Nella propria esperienza delle cose senz’altro sono state utili, costruttive e hanno permesso di crescere, altre lo sono state meno. Importante è accogliere quello che si ha vissuto, mettere sì a fuoco cosa si sente di voler cambiare come genitori nella propria esperienza in prima persona, ma senza rifiutare o tagliare con un passato che anche se doloroso ha permesso a ciascuno di essere la persona che è.
Fondamentale nel percorso genitoriale è il confronto con il partner e con altre coppie che si trovano a vivere situazioni simili. Non isolarsi socialmente, dialogare con la scuola, con i colleghi, con la famiglia allargata, i nonni, gli zii. Con la certezza che per crescere un figlio in modo armonioso non occorrono solo due genitori, ma è necessaria una comunità. E tenendo sempre a mente che non è tanto il numero di errori che si fanno, le volte in cui si perde la pazienza o non si comprende quel particolare bisogno del figlio, ma quello che realmente conta è quanto piuttosto si è in grado di ripartire, di riconoscere l’errore, anche dinanzi al figlio, chiedendo scusa e andando avanti.